L'imposta di successione: un dibattito ancora aperto
Prima abolita e poi ripristinata riguarda esclusivamente i grandi patrimoni e gli immobili
In Italia è sempre più accesso il dibattito sulla pressione fiscale che nel 2012 ha raggiunto – in base alle stime realizzate da Confcommercio - il picco record del 45,2%, quinta tra i trentacinque Paesi più industrializzati del mondo, dietro soltanto a Danimarca, Francia, Svezia e Belgio.
Tra le tasse più discusse c’è l’imposta di successione, che era stata eliminata dalla legge 383 dell’ottobre 2001. L’abolizione è durata però soltanto un quinquennio, in quanto è stata reintrodotta dalla finanziaria del 2007.
La nuova formula è stata concepita per colpire soprattutto i grandi patrimoni: il versamento varia infatti in base al valore dell’eredità e al grado del parente e – a seconda dei casi – sono previste franchigie e aliquote differenti. La franchigia stabilisce la soglia di eredità al di sotto della quale non si deve nulla allo Stato: l’imposta viene applicata solo alla parte che supera questa cifra. Per i parenti molto stretti, in linea retta o il coniuge, l’imposta non viene applicata fino a una quota pari a un milione di euro, una cifra molto alta, proprio per tutelare le persone più vicine al defunto.
Anche nei confronti dei portatori di handicap gravi è prevista una grossa agevolazione: a prescindere dal grado di parentela (che serve solo a determinare l’aliquota), la franchigia è di un milione e mezzo di euro.
Nel caso di successione tra fratelli la soglia è invece di centomila euro. L’ammontare dell’imposta è definito dall’aliquota che si applica esclusivamente su quanto va oltre la franchigia. Si oscilla tra il 6% e l’8% e – per esempio - se un fratello eredita 150 mila euro, dovrà pagare un’imposta del 6% ma solo su 50 mila euro, ovvero la parte di eredità che eccede la sua franchigia.
Le tasse da pagare subiscono però incrementi se si ereditano anche terreni, case o altri fabbricati. Oltre all’imposta di successione la normativa impone anche il versamento di un’imposta ipotecaria e catastale, cui si aggiungono il bollo, la tassa ipotecaria e i tributi speciali.
Per gli immobili non è poi prevista alcuna franchigia, quindi bisogna pagare sempre e comunque. Le imposte ipotecaria e catastale saranno pari, rispettivamente, al 2% e all’1% del valore catastale. Però, se tra gli eredi ce n’è almeno uno che ha i requisiti perché l’immobile ereditato possa essere considerato come prima casa, è possibile pagarle in misura ridotta: 168 euro ciascuna. Tuttavia questa agevolazione può essere sfruttata solamente se sono presenti alcuni requisiti: la casa ereditata non è di lusso (quindi, per esempio, l’abitazione non deve avere piscine o campi da tennis); l’erede non possiede già un immobile acquistato con le stesse agevolazioni; l’erede non possiede altri immobili a uso abitativo nel Comune dell’immobile ereditato; l’erede deve impegnarsi a trasferire la propria residenza nel Comune dell’immobile entro 18 mesi.
Il dibattito sulla necessità di mantenere o meno questa tassa è ancora aperto. E’ comunque interessante ricordare che un liberale come Luigi Einaudi si è schierato a favore di una imposta di successione, considerata nell'ottica dell'uguaglianza dei punti di partenza. E un miliardario come Warren Buffet si è più volte espresso per una forte imposta di successione, considerandola una forma di tassazione legittima.