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Le trattative sull'embargo petrolifero potrebbero protrarsi fino alla fine di maggio

Le trattative sull'embargo petrolifero potrebbero protrarsi fino alla fine di maggio

Lo stallo nei negoziati europei sul divieto di importazione del petrolio russo nella Ue non sembra vicino ad una soluzione. Per diversi Stati membri una misura del genere avrebbe conseguenze economiche disastrose. Dopo più di una settimana di intense discussioni non c'è ancora un accordo in vista. Le speranze che si possa arrivare a una svolta a breve sono ridotte al minimo.

Fonti diplomatiche hanno detto a Euronews che i colloqui si protrarranno fino al vertice straordinario dell'Ue del 30 e 31 maggio, dove potrebbe essere trovata una soluzione politica al massimo livello. Il principale punto di scontro rimane la tempistica prevista dalla Commissione europea: l'eliminazione graduale di tutto il greggio russo entro sei mesi e di tutti i prodotti petroliferi raffinati entro la fine dell'anno. La misura sarebbe applicata sia al petrolio trasportato via mare che a quello tramite oleodotti.

Una misura che metterebbe in difficoltà soprattutto tre Paesi senza sbocco sul mare - Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca - che sono collegati all'oleodotto Druzhba, gestito dai russi, e che ottengono la maggior parte delle forniture da questo enorme condotto.

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L'Ungheria e la Slovacchia hanno inizialmente spinto per una proroga su misura per completare l'embargo entro il dicembre 2024, mentre la Repubblica Ceca ha chiesto una proroga fino a giugno 2024, data entro la quale si aspetta di essere collegata al gasdotto transalpino.

Anche la Bulgaria, pur avendo uno sbocco sul al mare, si è unita al gruppo degli scettici e ha chiesto una deroga. Il governo sostiene che la raffineria di Burgas, di proprietà della multinazionale energetica russa Lukoil, non sarebbe in grado di operare completamente senza il petrolio russo.

La posta in gioco è alta per l'Ue che ha deciso di introdurre l'embargo, visto come una delle ultime possibilità per limitare la capacità del Cremlino di finanziare l'invasione dell'Ucraina, dopo che le precedenti sanzioni non sono riuscite a infliggere un danno economico sufficiente a forzare la mano di Vladimir Putin.

All'inizio della settimana Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, è volata a Budapest e ha incontrato Viktor Orbán, primo ministro ungherese, nel tentativo di appianare le differenze e raggiungere un accordo. Ma von der Leyen ha lasciato l'incontro a mani vuote, affermando che "è necessario ulteriore lavoro".

Da allora la posizione dell'Ungheria è diventata ancora più rigida. In un'intervista al quotidiano spagnolo El País il ministro degli Esteri del Paese, Péter Szijjártó, ha dichiarato che la transizione energetica richiederà più di cinque anni e un investimento tra i 500 e i 550 milioni di euro, oltre a 200 milioni di euro per aumentare la capacità del gasdotto Adria.

"Abbiamo detto alla presidente della Commissione europea che la sua proposta è un problema per noi. Non possiamo votare a favore se non viene offerta una soluzione - ha dichiarato Szijjártó -. Finora non è stato presentato alcun piano di questo tipo. La cosa più razionale sarebbe che il divieto di importazione del petrolio russo si applicasse alle spedizioni via mare, ma le forniture via oleodotto dovrebbero essere esentate".

Anche se la maggior parte dei barili di petrolio russo arriva nella Ue attraverso i porti, l'esclusione delle forniture via oleodotto dall'embargo aprirebbe una considerevole falla nell'azione collettiva e offrirebbe a Mosca una soluzione per continuare a raccogliere profitti dal mercato europeo.

Il funzionario di uno dei paesi contrari alle esenzioni ha dichiarato a Euronews che non sono una "buona idea", rappresentano una "minaccia alle regole della concorrenza" e dovrebbero essere accompagnate da tasse aggiuntive e dal divieto di vendere il petrolio russo ad altri Paesi. La Commissione si è detta aperta a negoziare tempi lunghi e "soluzioni pragmatiche" per i Paesi in situazioni "molto specifiche", ma finora si è rifiutata di togliere le forniture attraverso gli oleodotti dalla proposta di embargo.

Le sanzioni dell'Ue richiedono l'approvazione unanime di tutti i 27 Stati membri. Ciò significa che il gruppo dei quattro potrebbe rimandare la decisione finale per tutto il tempo che riterrà necessario. I negoziati si stanno svolgendo a livello politico e tecnico, con la partecipazione di rappresentanti nazionali, della presidenza francese del Consiglio dell'Ue e della Commissione. La presidente von der Leyen non ha ancora tenuto la videochiamata con i "partner regionali, rinviata a tempo indeterminato.

"La chiamata ci sarà quando riterremo che le soluzioni trovate siano sufficientemente mature per essere discusse dai leader", ha dichiarato giovedì scorso un portavoce della Commissione. Alcuni diplomatici temono che Viktor Orbán voglia trascinare i colloqui fino all'incontro dei leader dell'Ue del 30 maggio per un vertice straordinario in cui si potrebbe trovare una soluzione politica, piuttosto che tecnica.

Stando al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che ha convocato il vertice all'inizio di aprile, ben prima della presentazione dell'embargo petrolifero, l'ordine del giorno del vertice includerà "difesa, energia e Ucraina". In precedenza Orbán aveva detto che le sanzioni ai combustibili fossili russi erano una "linea rossa" per il suo Paese, nonostante avesse votato a favore di un divieto dell'Ue sul carbone russo. Più recentemente, il primo ministro ha paragonato l'embargo petrolifero proposto a "una bomba nucleare lanciata sull'economia ungherese".

Stando a un funzionario dell'Ue che ha parlato a Euronews al momento dividere il sesto pacchetto di sanzioni in due parti per approvare le altre misure - come l'espulsione di Sberbank, la più grande banca russa, dal sistema Swift - in attesa dell'approvazione del divieto sul petrolio non è un'opzione sul tavolo.

La questione del denaro è destinata a rivestire un ruolo di primo piano nelle discussioni in corso. Mercoledì la Commissione presenterà REPower EU, un piano per sganciare gradualmente l'Ue dai combustibili fossili russi. Si prevede che l'annuncio includa contributi finanziari per sostenere la costosa transizione energetica degli Stati membri, in particolare di quelli che attualmente dipendono maggiormente dalle importazioni russe.

Il divieto sul petrolio russo è considerato il passo più radicale compiuto dall'Ue in risposta alla guerra in Ucraina. Secondo uno strumento di monitoraggio creato dal Centro di ricerca sull'energia e l'aria pulita (Crea), un'organizzazione di ricerca indipendente, dall'inizio del conflitto i 27 Stati membri hanno speso circa 24 miliardi di euro per il petrolio russo.