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L'Italia potrebbe innescare una crisi dell'Eurozona

Qualche anno fa tutti guardavano alla Grecia come la miccia che avrebbe fatto esplodere la Santa Barbara dell'Euro, qualche mese fa tutti guardavano all'Inghilterra come il cavallo di Troia che avrebbe provocato una reazione a catena facendo leva sul crescente euroscetticismo che serpeggia tra le nazioni e soprattutto alla base dell'elettorato, qualche giorno fa tutti hanno iniziato a guardare all'Italia e alle sue banche come il nuovo capro espiatorio per quella che da molti è stata definita come una bomba ad orologeria, cioè il sistema bancario tricolore.

La situazione

Dall'inizio dell'anno Unicredit (EUREX: DE000A163206.EX - notizie) , colonna portante del settore, ha perso oltre il 60%, così come anche Intesa e Banco Popolare (Amsterdam: PB8.AS - notizie) di Milano, altri grandi nomi. Numeri che hanno spinto la memoria a quanto accaduto nel recente passato e che è stato alla base della crisi del 2008, con in prestiti forsennati e scriteriati. Peccato che in realtà questi atteggiamenti in Italia non ci siano stati, o per lo meno non in maniera sistematica visto che la singola eccezione negativa c'è sempre. Il primo nome è quello di Mps, vittima, dopo oltre 500 anni di storia, della peggiore gestione di sempre. Un colosso pericolante che rischia di travolgere tutto il resto delle banche sia per la reputazione, la credibilità e la tenuta del sistema, sia per i conti. Infatti resta aperta la questione principale, quella dello smaltimento delle sofferenze, smaltimento che avverrebbe per mano di banche private con il famoso Atlante 2, potenzialmente zoppo visto che già Atlante 1 aveva racimolato ben poco. Senza contare che resterebbe aperta la questione del prezzo: 20% del valore nominale per il mercato, 40% per Mps e al centro le pretese dei rumors che parlano di un 30% orientativo.

L'Italia ha una crisi bancaria. Innegabile

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Il paradosso nasce dal fatto che, come analizza giustamente Matthew Lynn , il problema delle banche, a parte qualche singola eccezione, non è tanto la gestione spericolata (gli azzardi ci sono stati ma nulla in confronto con quanto è avvenuto nel resto d'Europa), quanto il nodo che lega le banche all'economia reale e il collasso di questa, con i fallimenti a catena, i licenziamenti in massa e la disoccupazione cronica ha creato un esercito di persone che non potevano più pagare il mutuo o le rate dei prestiti perché senza stipendio oppure a carico di genitori pensionati, società che non erano più in gradi di restituire i finanziamenti perché in ginocchio oppure in fase di liquidazione il tutto in un panorama economico fermo da oltre 10 anni sulla crescita e da oltre 30 sulle riforme, la competitività e gli investimenti industriali, mentre fa notare Lynn, il mercato azionario era “eccitante come un comizio elettorale di Angela Merkel”, analogia felicissima di una nazione in cui la vecchiaia anagrafica è solo un lato di un'anzianità mentale che si manifesta con il sempre più diffuso disinteresse. A tutti i livelli. Ecco allora che, di fronte a una situazione del genere, la fragilità è venuta a galla dopo anni, accentuata anche da quello che per Lynn è il fattore determinante: l'euro. La moneta unica ha distrutto la competitività di quello che, 20 anni fa, era un settore manifatturiero ancora sano nonostante la crescente pressione fiscale e la cronica evasione. La situazione ha iniziato a peggiorare con l'entrata in scena delle regole dell'Eurozona introdotte all'inizio di quest'anno e riguardanti il bail in, regole che tirano oin ballo azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro per salvare gli istituti nei guai. Il che porterà, in realtà lo ha già fatto, a un clima di incertezza e diffidenza oltre che al pericolo di fuga dei capitali.

E i motivi per temere qualcosa, nel breve termine, ci sarebbero

Se non altro la fusione tra le paure per la destabilizzazione finanziaria che, per ironia del calendario, andrebbe a scontrarsi con quella politica. Il tutto arriverebbe alla fine dell'estate ovvero quando in Italia riprenderà con più forza l'attività politica (e quindi il processo di riforma anche del settore bancario) e, in parallelo, ci si preparerebbe al referendum per la riforma costituzionale previsto tra ottobre e novembre e dopo il quale, in caso di vittoria dei NO quindi di rifiuto della riforma, si potrebbe assistere alle dimissioni del governo Renzi con annesso terremoto politico, ritorno alle urne e, come Spagna e Austria insegnano, pericolo di instabilità e ingovernabilità. A tutti danno del cammino delle riforme voluto dall'Europa e dall'Europa benedetto. Per quanto lento e a volte controproducente. In realtà i precedenti sull'ingovernabilità non arrivano solo dalle elezioni politiche di altre nazioni, basterebbe soffermarsi sulle ultime amministrative caratterizzate dal ciclone M5S: qualora le posizioni critiche del Movimento non cambiassero e il sentiment degli elettori restasse immutato convinti che quello che va bene e a livello locale è adeguato anche a livello nazionale, allora è facile aspettarsi attriti sul fronte dei mercati. E dell'Unione.

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