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Piazza Affari: il bear market non ha ancora completato il lavoro

Di seguito riportiamo l’intervista realizzata a Gaetano Evangelista, amministratore unico di AGE Italia.
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Il focus mosse delle Banche Centrali e in particolare della Fed sembrano aver ceduto il passo per ora al tema delle elezioni presidenziali Usa. Come vivranno i mercati azionari fino a tale appuntamento?

Ormai i giochi sembrano fatti. E non mi riferisco tanto ai sondaggi che, abbiamo imparato, sono sempre risultati distaccati dagli umori elettorali alla vigilia dei grandi appuntamenti di quest’anno.
Mi riferisco al mercato azionario americano, che si sta comportando esattamente come dovrebbe, nell’ipotesi in cui il partito che amministra la Casa Bianca trovi la riconferma nelle urne.
Insomma, la borsa fa apertamente il tifo per la signora Clinton, e sarebbe uno shock se il prossimo 8 novembre uscisse un risultato diverso.

Ad ogni modo abbiamo un metodo semplice per anticipare il prossimo presidente degli Stati Uniti: dal 1900 il partito al potere si è confermato soltanto nel 23% dei casi, quando il Dow Jones è sceso nei due mesi che hanno preceduto l'Election Day. Quando invece il Dow Jones è salito nei due mesi prima delle elezioni, il partito al potere si è confermato in ben 15 casi su 16.

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Chi in USA auspica il primo presidente donna degli Stati Uniti, deve confidare in una quotazione del Dow Jones non inferiore ai 18500 punti, prima di recarsi al seggio.

A Piazza Affari il Ftse Mib continua a rimanere preda di una forte incertezza, muovendosi in un ristretto intervallo di prezzi. Tale situazione è destinata a durare o si aspetta evoluzioni diverse nel breve?

Può anche darsi che la borsa italiana partecipi ad un rally di fine anno che è già nelle carte, e che come detto salterebbe soltanto nell’improbabile caso di affermazione dello sfidante repubblicano. Ma intanto occorre una prova di inversione di tendenza che formalmente manca da novembre dello scorso anno.

E poi, spiace dirlo, il bear market a Piazza Affari non ha ancora completato il suo lavoro. Non c’è ipervenduto di lungo periodo, e gli indicatori stocastici sono ancora a tre quarti della loro corsa verso il basso.
In questo contesto, le sorprese tendono a registrarsi verso il basso.

Il petrolio ha imboccato il sentiero del recupero che ha visto i corsi spingersi al di sopra dei 51 dollari nelle ultime ore. Prevede ulteriori salite per il greggio?

Sono combattuto, perché da un lato la stagionalità – che quest’anno ha funzionato egregiamente – suggerisce l’esaurimento della positività in concomitanza con l’arrivo dell’autunno. Dall’altro non si assiste ad eccessi nel posizionamento long da parte dei trend follower (fondi hedge e CTA in particolare) e il sentiment non è rovente.
Graficamente il petrolio è ben messo, ma personalmente non me la sento al momento di assecondare avventure bullish. Un conto è gestire le posizioni in essere, altro è aprirne di nuove.

A livello di quadro intermarket ci sono degli aspetti che vuole segnalarci? A cosa consiglia di guardare in particolare ora?

Gli ultimi due lustri hanno visto prevalere gli asset collegati allo scenario deflattivo: titoli di Stato, corporate bond, Wall Street; a discapito dei temi collegati all’inflazione (materie prime, bond collegati all’inflazione e banche).

Penso che un utile modo per sintetizzare questo scontro sia il rapporto fra la quotazione di Unilever e quella di Unicredit: la prima beneficiata dalle attenzioni degli investitori sul reddito fisso, la seconda penalizzata dalla deflazione, che ha azzerato i tassi di interesse, schiacciando i margini di intermediazione.

Ecco, penso che la battaglia delle banche centrali contro il mostro deflazione sarà finalmente vinta, quando questo rapporto svolterà verso il basso. Ad evidenza, non si hanno ancora prove di un ritorno strutturale dell’inflazione, almeno in Europa.

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