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Regolamentazione Bitcoin: qualcosa si muove

È rosso per le major questa mattina, con i guadagni di domenica che hanno dato un pò di respiro alla polarizzazione ribassista che affligge il mercato.

No, non è arrivato ancora il momento di una legislazione cripto su larga scala.

Tuttavia, l’Italia si pone come pioniera in ambito fiscale.

La valuta nakamotiana dismette una congrua quota di lacuna legis arricchendosi di un sistema impositivo che la inserisce a pieno titolo nella fattispecie dei capital gain (prezzo di acquisto-prezzo di vendita).

L’introduzione di un simile cambio di registro non si deve a scelte di politica economica o fiscale propriamente dette, ma a un interpello con cui l’Agenzia delle Entrate ha chiarito la questione a un contribuente desideroso di conoscere a pieno la materia.

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Sì perché, interrogata sul punto, ossia su come dovessero essere intesi i profitti derivanti dall’attività cripto, da Via Cristoforo Colombo hanno prontamente risposto che BTC e affini sono da considerarsi alla stregua di valuta estera.

Dal che deriva che i guadagni sul comparto tecnofinanza constano di una tassazione al 26% se percepiti su portafogli che eccedano la giacenza media di 51.645,69 euro per il tempo di sette giorni lavorativi succedanei (sul punto si tornerà tra poco).

Ma non è tutto.

Il totale degli investimenti va dichiarato nel quadro RW, quindi alla stregua di qualunque dichiarazione dei redditi.

Un indirizzo obiettivo in tal senso giunge da quanto diffuso dalla Direzione Regionale della Lombardia, che, interrogata sulla vicenda come anticipato in calce, ha precisato che, vigendo l’equivalenza tra Bitcoin e valuta estera, i principi vigenti in materia fiscale sono i medesimi, anche se le criptovalute siano scevre da qualsiasi tipo di emissione da Banca Centrale.

Chiarendo quanto già detto sulla giacenza media, quanto statuito dall’Agenzia delle Entrate permette di recepire il principio di trattamento delle valute digitali.

Nel dettaglio, tale disciplina si sostanzia in quanto segue: le criptovalute sono da intendersi alla stregua di redditi diversi di natura finanziaria che derivino dalla cessione a pronti, per cui il quantum conseguente da cessione a titolo oneroso (per valuta diversa da quella nazionale-comunitaria) da conti correnti e depositi esteri (nella fattispecie criptovalute) rileva fiscalmente se, nel periodo stimato dalla legge come d’imponibile, la citata giacenza media è superiore ai 51.645,69 euro per sette giorni lavorativi consecutivi.

Per quanto a livello di criptovalute sia improprio parlare di depositi e conti correnti come per le divise estere, il problema è aggirato considerando al riguardo i wallet.

In riferimento invece al computo della giacenza media del periodo fiscale, qui rileva il rapporto di cambio tra la criptovaluta e l’Euro, calcolato hic et nunc presso il sito su cui l’operazione di acquisto o vendita BTC è stata effettuata.

La plusvalenza, come già anticipato, si comporrà di valore differenziale tra prezzo di vendita e costo di acquisto, fatte salve ogni tipo di minusvalenze scomputabili.

Ultimo, ma non meno importante, è la regolamentazione dell’imposta relativa alla detenzione di valuta digitale.

Qui, l’Agenzia delle Entrate si dimostra meno invasiva specificando come il possesso di BTC (e affini) non inerisce l’imposta sul valore dei prodotti finanziari, perché le criptomonete non sono strumenti finanziari di natura bancaria e quindi hanno diritto a un regime differente.

Da quanto espresso finora appare palese come la parziale regolamentazione fiscale di BTC e fratelli sia incompleta e lacunosa, specie guardando all’elemento temporale come conditio sine qua non dell’imponibile, caratteristica che attirerà non poche critiche in seno alla comunità cripto, ma anche in sede comunitaria.

L’Italia ha contribuito a una prima, timida (ma non troppo) spinta verso la regolamentazione.

I tempi di recepimento e di risposta in termini di opportunità saranno dettati solo dal mercato.

This article was originally posted on FX Empire

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