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Scrive post su Facebook durante orario di lavoro: licenziato

In verità, è una sentenza della Cassazione ad affermare che l’azienda può licenziare il dipendente che durante le ore di lavoro naviga sul social network per scopi personali. (Credits - Flickr/Pascal Paukner)
In verità, è una sentenza della Cassazione ad affermare che l’azienda può licenziare il dipendente che durante le ore di lavoro naviga sul social network per scopi personali. (Credits – Flickr/Pascal Paukner)

Sarebbe andato sui social network durante l’orario di lavoro. Per questo motivo sarebbe stato licenziato. E’ successo a un dipendente della ‘Vibac’, azienda del nucleo industriale di Termoli (Campobasso). Una situazione spinosa, ma ancora non chiarissima.

Secondo quanto si sa fino a ora, infatti, il lavoratore sarebbe già stato sospeso per un paio di giorni in precedenza, dopo che aveva pubblicato alcuni post pubblici su Facebook in cui non usava parole lusinghiere nei riguardi della ‘Vibac’. Dopo di che, invece, il licenziamento per presunti accessi al social durante l’orario di lavoro.

Una decisione che viene stigmatizzata dal segretario regionale della Filctem-Cgil Molise, Lino Zambianchi, che in una nota afferma come “il diritto dell’azienda di disporre del destino di un padre di famiglia dovrebbe essere esercitato contestando violazioni gravi e verificabili. Ora, al di là del fatto dell’indimostrabilità degli accessi senza la geolocalizzazione resta incomprensibile il danno provocato all’azienda che non viene né menzionato, né descritto”.

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In verità, va ricordato come sia una sentenza della Cassazione ad affermare che l’azienda può licenziare il dipendente che durante le ore di lavoro naviga sul social network per scopi personali, come chattare o guardare le foto postate dagli amici. Il licenziamento è considerato legittimo perché la permanenza sui social di chi è pagato per svolgere altre mansioni “viola il patto di fiducia che lega il dipendente all’azienda”.

Insomma, la Vibac ha semplicemente applicato la legge. Ed è per questo che il sindacato, nel difendere il dipendente – sposato e padre di due figli – sposta l’attenzione dall’uso dei social alla sicurezza sul lavoro. “E’ stato usato il pugno di ferro per una vicenda che non è nemmeno dimostrabile, mentre sugli infortuni in azienda tutto tace” denuncia il sindacato, che rincara la dose. “Quando un lavoratore si fa male, come è successo più di una volta nelle scorse settimane, il silenzio dei dipendenti, impauriti dalle reazioni scomposte dell’azienda, fa passare in secondo piano questi eventi” denuncia il sindacato, che ricorda come “4 anni fa aveva aperto una procedura di procedura di licenziamento collettivo per chiusura dello stabilimento, ottenendo con questa minaccia, che poi si è rivelata infondata, che i lavoratori rinunciassero a qualche migliaio di euro all’anno ottenuti con la contrattazione di secondo livello”.

Insomma, il licenziamento del dipendente – per legge più che legittimo – è stata la miccia che ha scatenato le polemiche e ora il sindacato minaccia uno sciopero. Non è chiaro se per far reintegrare il dipendente licenziato o per garantire maggior sicurezza sul posto di lavoro.