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Si dissolve la catal-exit, riemerge il Russiagate

La prima delle tante bolle che si stanno addensando nel nostro mondo, sempre più condizionato da quel che i media desiderano gonfiare oppure oscurare, è scoppiata ieri.

La questione dell’indipendenza catalana, che ha tenuto col fiato sospeso tutti i Mentana d’Europa per settimane, sembra proprio sciogliersi come neve al sole.

Del resto, che le cose si complicassero per gli indipendentisti, lo aveva dimostrato a Barcellona la enorme manifestazione degli unionisti di domenica scorsa, che ha dato la plastica raffigurazione delle intenzioni della maggioranza silenziosa dei catalani, che l’indipendenza, a costo di una dura recessione, proprio non la vuole.

Ieri, appena i commissari nominati dal governo di Madrid hanno cominciato a prendere possesso del potere regionale (per telefono! Senza neanche doversi scomodare per andare a Barcellona) ed appena la Magistratura spagnola ha cominciato a trarre le conseguenze giuridiche della tentata secessione, incriminando Puigdemont ed una dozzina di altre autorità locali e leader indipendentisti per una sfilza di reati (ribellione, sedizione e malversazione, per un totale di 25 anni di carcere, salvo attenuanti), i capi rivoltosi sono fuggiti a Bruxelles, a chiedere ospitalità ai nazionalisti fiamminghi ed asilo politico al Belgio. Così il popolo indipendentista catalano, che ha preso le botte il giorno del referendum ed ha pianto di gioia la scorsa settimana alla proclamazione dell’indipendenza, ha scoperto di essere su “Scherzi a parte”. L’insurrezione pacifica viaggia così a velocità supersonica vero il flop colossale e si erge da monito per chi avesse intenzione di imitarla, testimoniando quanto sia difficile oggi uscire in modo indolore da un’istituzione di cui si fa parte. Agli indipendentisti, orfani dei leader, non resta che sperare che il potere centrale spagnolo non decida di stravincere, vendicando in modo autoritario l’offesa subita. Credo non ce ne sia affatto bisogno, dato che a dicembre si faranno nuove elezioni e probabilmente i partiti indipendentisti verranno relegati all’opposizione, perdendo molti voti dei catalani illusi e poi delusi. Tutto tornerà come prima. Potevano risparmiarci il tempo perso a preoccuparci del loro destino.

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La capitolazione catalana ha messo, come è naturale, le ali alla borsa di Madrid e l’indice Ibex ha registrato, con un sonoro +2,44%, che lo ha riportato su livelli abbandonati ad agosto, la conclusione poco seria dell’esperimento indipendentista. In forte restringimento anche lo spread dei periferici, con il Bonos spagnolo che ha recuperato 13 punti base al Bund ed il nostro Btp che ne ha ripresi 8, anche grazie alla promozione che nel week end l’agenzia Standard&Poor’s ha regalato al nostro debito, togliendo il segno meno alla nostra BBB.

Mentre la situazione in Europa si rasserena, qualche problema affiora in USA, dove il Russiagate comincia a fare le prime vittime. Paul Manafort, l’ex capo del comitato elettorale di Donald Trump, è stato incriminato per frode fiscale, riciclaggio di denaro e cospirazione contro gli Stati Uniti. Parte dei crimini si riferisce al passato, ma probabilmente l’ultimo capo d’accusa riguarda la campagna elettorale di Trump. Anche altri personaggi di minore importanza sono incriminati per aver trafficato con personaggi russi e ricevuto finanziamenti illegali. Il cerchio intorno a Trump riprende a stringersi e gli sviluppi dell’inchiesta sono un’incognita destinata a pesare.

Ma anche un'altra indiscrezione ha frenato gli entusiasmi di venerdì scorso: sembra che la Camera USA stia lavorando su un progetto che prevede, anziché il taglio netto del 15% delle aliquote d’imposta sulle società, previsto dal bazooka fiscale di Trump, una riduzione graduale del 3% annuo per 5 anni. L’effetto sarebbe assai meno eclatante di quanto vorrebbe Trump.

La combinazione di queste due notizie ha zavorrato i listini USA (ma non il Nasdaq100, che ha fatto comunque +0,23%), che hanno restituito parte dei guadagni accumulati venerdì.

L’obbligazionario ha ripreso quota, limando in modo consistente i rendimenti del Treasury decennale, che dai massimi di venerdì scorso a 2,47%, ha perso ben 11 punti base. Anche il dollaro si è un po’ ammosciato, consentendo all’euro di rialzare la testa e tornare quasi al test del vecchio supporto, ora resistenza, di 1,166.

Ancora una volta è la politica a disturbare la volontà dei mercati, che però hanno un atteggiamento di fondo comunque piuttosto volitivo, spinto dalle trimestrali e dalle attese per il nuovo Presidente della FED, che dovrebbe essere nominato entro questa settimana per prendere poi il possesso della scrivania di nonna Yellen in febbraio. Si fanno i nomi di Jerome Powell come Presidente e John Taylor come Vice.

Se così fosse avremmo un segno di continuità con la Yellen alla Presidenza e un contentino ai falchi alla vice-Presidenza. La combinazione Powell-Taylor è tutto sommato assai più gradita ai mercati di una opposta Taylor-Powell, dato che garantirebbe un rientro graduale e senza strappi verso la normalità dei rendimenti.

Autore: Pierluigi Gerbino Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online