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Venezia, arrestato per il Mose, liquidato con 7 milioni

L posa della prima pietra del Mose a Venezia nel 2003. REUTERS/Alessia Pierdomenico

Una liquidazione da sette milioni di euro. Una cifra record quella che il Consorzio Venezia Nuova verserà all’ingegnere Giovanni Mazzacurati, ex numero uno del Consorzio che cura la realizzazione del Mose – il sistema di dighe mobili contro l’acqua alta a Venezia - arrestato la scorsa estate con l’accusa di turbativa d’asta. In tempi di spending review la somma fa ancora più clamore anche perché, è bene specificarlo sin dall’inizio, i soldi sono quelli pubblici. Il Consorzio, infatti, non è un’associazione di imprenditori privati, ma è un cartello che lavora con una concessione dello Stato in regime di monopolio per costruire il Mose che, tra l’altro, tra continui ritardi e sprechi costerà agli italiani più di sette miliardi di euro.

“Abbiamo fatto tutto seguendo le indicazioni di due studi legali e dei consulenti del lavoro”, specifica Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova. “La cifra di partenza era molto più alta”. Mazzacurati ha passato quasi trent’anni ai vertici del Consorzio, negli ultimi dieci ha ricoperto anche la carica di presidente, dopo Luigi Zanda, Paolo Savona e Franco Carraro. Lo scorso giugno si era dimesso, ufficialmente per motivi di salute, ma a luglio veniva arrestato con pesanti accuse sulla gestione della società. Ancora prima che inizi il processo, però, il Consorzio Venezia Nuova ha deciso di super liquidare il vecchio numero uno con sette milioni di euro. Giusto per rendere l’idea è il reddito di 312 anni di lavoro di un altoatesino o di 570 anni di un campano.

Dal Consorzio assicurano che lo sforzo economico per liquidare Mazzacurati non ha nulla a che vedere con le inchieste giudiziarie in corso. Intanto, però, sono stati sostituiti anche l’avvocato Alfredo Biagini, che per anni ha tutelato il Consorzio in sede amministrativa e ha difeso lo stesso Mazzacurati nella vicenda giudiziaria. Via anche la storica responsabile dell’ufficio stampa, Flavia Faccioli, al suo posto Antonio Gesualdi. “Da quando siamo qui abbiamo risparmiato quasi dieci milioni in consulenze”, precisa il presidente Fabris. “La liquidazione, ripeto, era un atto dovuto”. Ad ogni modo, se l’ingegnere in futuro subisse una condanna, potrebbe ritrovarsi costretto anche a restituire parte della buonuscita.

La vicenda del Mose è lunga una vita. La storia è un po’ come quella della Salerno-Reggio Calabria: un’opera infrastrutturale strategica che non si riesce mai a finire. Ma che costa a tutti un sacco di soldi. Nel 1988, Gianni De Michelis garantiva che l’opera sarebbe stata conclusa entro il 1995. A quasi vent’anni di distanza, però, il Mose è tutt’altro che ultimato. “La barriera non funzionerà mai e il Mose sarà solo una fonte di sprechi di soldi pubblici”, protestavano diverse associazione ambientaliste, a partire da Italia Nostra, nel tentativo di bloccare l’inizio dei lavori. Tredici anni fa, all’avvio delle operazioni, il cantiere doveva costare mille e 600 miliardi delle vecchie lire, come scrive Antonio Galdo su nonsprecare.it. Nel 2002 il primo ritocco, all’insù, delle previsioni di spesa fino a toccare la soglia dei 3 miliardi di euro. Qualcosa come il quadruplo di quanto inizialmente preventivato. Senza contare la miriade dei ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato che rallentano inevitabilmente il corso d’opera: ad oggi il Mose ne ha affrontati circa une decina.

La consegna del sistema di dighe per combattere l’acqua alta in Laguna continua a slittare. L’ultima data prevista è quella del 2016. Ma se aumentano gli anni necessari alla costruzione, lievitano anche i costi che, ad oggi, si avvicinano ai 7 miliardi di euro. Lo spreco di soldi pubblici, quando si tratta di infrastrutture di grandi dimensioni, non è certo una novità. Anche perché spesso e volentieri i lavori sono accompagnati da inchieste della magistratura. Soldi pubblici distribuiti a pioggia, mazzette e irregolarità nell’assegnazione degli incarichi. Venezia non fa eccezione e anche di questo dovrà rispondere l’ex presidente del Consorzio, Giovanni Mazzacurati. “Con il Mose i veneziani, in fatto di sprechi e clientele, sono diventati come i siciliani”, commentava la scorsa estate Flavio Tosi, sindaco di Verona. Perché quando si tratta di usare soldi pubblici, per far contenti amici, parenti e politici di turno, da nord a sud, la storia è sempre la stessa.