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Il sogno americano diventa incubo: cercano un lavoro e finiscono in prigione

Il viaggio a New York di tre ragazzi marchigiani era cominciato come un sogno e si è rivelato un incubo. Gloria Lattanzi, 21 anni, il suo fidanzato Jonathan Papapietro di Corridonia, e un loro amico di Potenza Picena avevano spiccato il volo per gli States prima di Natale, con l’obiettivo di trovare un'occupazione, per cominciare un lavoro lontano da un Paese che offre sempre meno possibilità ai giovani, ma si sono ritrovati con le manette ai polsi a causa delle severe regole dell’Immigration and Nationality Act che regola gli ingressi nel Paese.

Il loro errore è stato commesso a monte, quando, prima si partire, hanno chiesto il visto turistico invece di quello di lavoro. Prima di partire i ragazzi si erano accordati per fare una prova in un ristorante di New York, ma i loro piani sono naufragati da subito. Appena sbarcati all’aeroporto Kennedy di New York sono stati indirizzati verso la dogana: quando i responsabili dei servizi doganali hanno scoperto che tutti e tre risiedevano da una persona e non in un albergo hanno iniziato a insospettirsi. Aperte le valigie e scoperti i cappelli da cuochi, i doganieri hanno chiesto ai ragazzi se fossero giunti negli Stati Uniti per lavorare, mettendo a nudo l’inadeguatezza dei loro documenti. In quel momento la situazione è precipitata: i ragazzi sono stati spogliati, è stato chiesto loro se avessero precedenti penali, se stessero scappando da qualcuno. Ai due ragazzi sono state messe le manette, alla ragazza no. Poi i tre sono stati caricati su di una camionetta e condotti in una prigione del New Jersey.

Mentre Giorgia è stata messa in una cella da sola, i due ragazzi hanno condiviso la cella con due ergastolani messicani: non hanno toccato cibo e, invece dell’acqua, è stato offerto loro succo d’uva.  In carcere i due non hanno potuto lavarsi, né contattare telefonicamente i famigliari. Il sogno americano si è trasformato in un incubo. Quarantotto ore dopo, scortati dalla polizia e con le manette ai polsi, i tre ragazzi sono stati riportati all’aeroporto e rispediti a casa: “Eravamo umiliati, una vergogna incredibile: avranno pensato che eravamo dei criminali, e invece non abbiamo fatto proprio nulla”, ha raccontato Giorgia.

Tornati in Italia, i ragazzi hanno contattato l’ambasciata per capire che cosa fosse successo: sono stati dati loro i nomi degli avvocati che seguiranno il processo che sta andando avanti, togliendo il sonno agli sfortunati protagonisti di questa disavventura: “E anche questo ora mi spaventa - conclude Giorgia -, perché non so come finirà. Per noi l’America era un sogno, una speranza anche per il lavoro, ora non possiamo rimetterci piede per non so quanto tempo, e senza un perché”.