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Se più pagato, il politico lavora meglio a livello locale

Uno studio accademico italiano dimostra che incentivare economicamente i politici stimola performance migliori

Al tempo della crisi, associare la parola politica a quella stipendi suscita istinti bassi. Eppure in uno studio, pubblicato anche sul Journal of European Economic Association intitolato "Do Better Paid Politicians Perform Better? Disentangling Incentives from Selection", gli accademici Tommaso Nannicini (Dipartimento di Economia dell'Università Bocconi) e Stefano Gagliarducci (Università di Roma Tor Vergata) dimostrano che ci sono casi in cui pagare di più i politici garantisce performance migliori e anche una gestione della macchina pubblica più efficiente.

Tra i motivi per cui si contestano le paghe ai politici, in primis c’è l’incompetenza. E’ pur vero che, per certi professionisti, lasciare vantaggiose posizioni nel settore privato avrebbe senso solo con  un risarcimento adeguato in ambito pubblico. Un aumento della retribuzione, potenzialmente, attirerebbe persone più qualificate, e, al fine di una rielezione, costituirebbe sicuramente un surplus di stimoli.

Empiricamente, lo studio di Nannicini e Gagliarducci utilizza un data-set che copre le annate dal 1993 al 2001 di tutti i comuni italiani, in un contesto in cui il salario del sindaco cresce a step, con l’aumento dimensionale della popolazione. Gli autori attuano il confronto tra i sindaci delle città immediatamente sotto e immediatamente sopra la soglia di 5mila abitanti, per verificare gli assunti di partenza.

Passiamo alla casistica sul campo: in un comune con oltre 5mila abitanti, un sindaco ha in media un’istruzione più alta, il 6,4%, che corrisponde a più di 14 anni sui banchi,  rispetto a un collega che opera in un comune più piccolo. Il salario è più alto del 33% rispetto a un amministratore che governa una città con una popolazione tra 3.000 e 5.000 abitanti. Ecco che aumenta, conseguentemente anche al livello di scolarizzazione, la presenza di  avvocati e manager coinvolti nell’attività politica locale.

Esaminando invece gli aspetti che più investono la vita del cittadino, come tasse, tariffe e spese, nel comune di un politico meglio retribuito subiscono una decurtazione rispettivamente dell’86%, dell’11% e del 22%. Laddove, poi, c’è un limite di due mandati per i sindaci, l’aumento di stipendio è legato più a nuove competenze acquisite che agli incentivi di rielezione. Le conclusioni dello studio, insomma, sembrano suggerire che laddove il politico, a livello municipale, è più pagato, saranno più alte le performance della gestione delle pubbliche cose ma anche il suo stesso background.

Tuttavia, è difficile estendere i risultati dell’esperimento locale ad altri parametri: come sottolineano gli studiosi, a causa del carattere locale di questo esercizio empirico, non è possibile determinare in assoluto il livello ottimale dei salari. L’ostacolo è identificare il limite superiore oltre il quale il beneficio in termini di welfare, dato dal pagare i politici di più, sia completamente compensato dall’aumento del salario stesso.  A livello nazionale, poi, bisognerebbe capire in che modo pagarli di più ridurrebbe la spesa pubblica. Di certo, con più competenze, e con stipendi manageriali, non ci sarebbe più spazio per certe imposizioni e cooptazioni: il cittadino andrebbe alle urne con una consapevolezza diversa, di mercato, per reclutare il cittadino più competente.