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Lego, dalla crisi alla rivincita. Ecco come ha fatto

Nei cinema italiani sta per uscire The Lego Movie, negli Stati Uniti ha già dominato il botteghino. Merito (anche) della forza del marchio danese. Lego è il secondo produttore di giocattoli più grande al mondo (meglio di Hasbro e dietro Mattel), esistono 82 pezzi per ogni uomo, donna o bambino al mondo. Gli Afols, Adult Fans of Lego, i super appassionati, sono 250mila.
Le vendite sono cresciute di un altro 13%, la conquista del mercato asiatico viaggia a ritmi da +35%. I Lego sono cool, qualunque cosa venga rifatta con i mattoncini danesi diventa virale, dalle copertine dei dischi alle scene dei film.
Eppure, sembra strano, ma solo pochi anni fa, Lego era un aereo pronto a schiantarsi. Perdita di prestigio, mercato e profitti: nel 2004 Lego era un’azienda vicina allo schianto. E la colpa era dell’innovazione: i danesi avevano innovato nella direzione sbagliata, e la stavano pagando cara. Il periodo nero è durato poco più di un decennio, ed è partito nel 1993. E’ vero, ci furono un po’ di cause esterne. La concorrenza di prodotti cinesi (praticamente dei cloni), il boom delle console e dei videogiochi, l’aumento del costo del lavoro, delle linee produttive e della distribuzione. Ma questi elementi non bastano a spiegare la crisi.
Lego, in quel periodo, stava innovando allontanandosi troppo dal cuore del suo business. Aveva provato ad aprire nuovi mercati (quello femminile, per esempio, quando la prevalenza commerciale del brand era sempre stata maschile, e maschile è rimasta) e a legare il suo marchio al meglio della cultura pop (Harry Potter e Star Wars), spendendo una fortuna per i diritti, senza avere in cambio un vero aumento dei profitti. Anche perché il successo di questi prodotti, per esempio quelli legati a Harry Potter, era troppo ciclico e legato alle uscite di libri e film. Per rientrare dai costi, Lego aveva bisogno di giocattoli dal successo più costante. E poi troppe attività collaterali: il mondo stava dimenticando il bello dei Lego. Il tutto per un rosso di oltre 100 milioni di dollari. Per approfondire le cause di questo stallo nella storia dei Lego, è utile leggere "Brick by Brick: How Lego Reinvented Its Innovation System and Conquered the Toy Industry".
“Dovevamo tornare a fare quello in cui eravamo bravi: giocattoli”, ha spiegato di recente il chief marketing officer Mads Nipper al Guardian. La rinascita, per Lego, è partita vendendo il 70% di Legoland (in tutto sei parchi giochi) al gruppo Blackstone, dal taglio dei costi (molto doloroso per i danesi), dall’outsourcing in Messico e Repubblica Ceca (altrettanto problematico). Alcune linee di prodotto (in particolare quelle femminili) sono state tagliate. Mercati nuovi sono stati conquistati, oggi si gioca di più con i Lego a Seul che a Copenaghen. E l’innovazione non è stata spenta, ma solo calibrata ai costi e alle opportunità. La conquista di visibilità su Internet è stata graduale ma decisa. Sono usciti i giochi per console. C’è stato il tentativo, interessante ma alla fine fallimentare, di creare una piattaforma di roleplaying online, Lego Universe. Sul sito factory.lego.com c’è stata la possibilità di creare il proprio Lego e poi ordinare i pezzi. Integrazione tra virtuale e reale, e personalizzazione, rimangono due strategie per il futuro. Ma l’aspetto più importante è che invece che affidarsi solo ad altri mondi, come Star Wars, Lego ha lavorato per reinventare il proprio universo culturale e la propria identità. E il successo è tornato, per i mattoncini danesi.
Ecco alcune immagini che ripercorrono la storia dei Lego nel corso dei decenni.