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Aziende statali: quanto guadagnano e quanto ci costano

Finanziamento pubblico ai partiti in Italia dal 1994 al 2012

Le principali società partecipate dallo Stato italiano a Piazza Affari sono Enel, Eni, Finmeccanica e hanno come azionista di controllo il ministero dell’Economia.
Per Enel la partecipazione si aggira attorno al 31%, per Eni al 3,93% e per Finmeccanica tocca il 30,20%. La Cassa depositi e prestiti (Cdp), società di proprietà del ministero dell’Economia al 70%, possiede, a sua volta, il 26,37% di Eni, il 17,36% di Enel cui si aggiungono partecipazioni del 30% in Terna, la società per azioni proprietaria della rete elettrica italiana, e Stmicroelectronics al 10,1%. A fine 2010, lo Stato italiano, in qualità di azionista, ha incassato da Eni più di 1,2 miliardi di euro e da Enel 735 milioni, circa 550 milioni in meno rispetto all’esercizio precedente. Completano il quadro aziende completamente statali quali Poste Italiane, Rai, Fintecna, Fincantieri, Sace, Ferrovie dello Stato e la già citata Cassa depositi e prestiti.

Il mese scorso l’attenzione sulle aziende partecipate o controllate dallo Stato si è alzata, soprattutto per la concomitanza di nuove nomine di amministratori delegati e consiglieri, in parte scelti dal ministero del Tesoro stesso. Tante posizioni di rilievo per occupare circa 80 poltrone ai vertici societari.

Ma quali sono le aziende statali più virtuose e quali, invece, fanno registrare le perdite più consistenti?
Per prima cosa, occorre dare un’occhiata ai bilanci delle aziende controllate dello Stato. All’inizio di maggio, l’assemblea degli azionisti dell’Eni ha approvato il bilancio 2011 “chiuso con un utile netto adjusted di 6,97 miliardi di euro (+1,5%), e la distribuzione di un dividendo di 1,04 euro di cui 52 centesimi già pagati in acconto”, come riportato dall’Asca. Alla Cassa depositi e prestiti, titolare del 26,37% del capitale, Eni stacca un assegno complessivo per l’esercizio 2011 di circa 1,1 miliardi di euro, mentre al ministero dell’Economia – che detiene il 3,93%- vanno 163 milioni di dividendi.

Enel ha chiuso il 2011 con ricavi a quota 79,5 miliardi di euro, in crescita dell’8,4% rispetto ai 73,4 miliardi del 2010. Il margine lordo ha fatto segnare un incremento dell’1,4%. L’utile netto, invece, è sceso del 5,5% passando da 4,39 miliardi di euro del 2010 a 4,14 miliardi, soprattutto a causa del maggior carico fiscale derivato dalla modifica della Robin Hood Tax. L’utile per azione è risultato pari a 0,44 euro ed è stata proposta la distribuzione di un dividendo pari a 0,26 euro per azione. Saltano, però, all’occhio le voci che riguardano gli stipendi dei due amministratori delegati. Per Paolo Scaroni, numero uno di Eni, il totale dei compensi percepiti l’anno scorso sfiora la bellezza di sei milioni di euro, mentre per Fulvio Conti, ad di Enel, la retribuzione è arrivata a 4,37 milioni.

Già ad ottobre l’ufficio studi di Mediobaca R&S aveva stilato una classifica delle maggiori aziende italiane e, non a caso, tra i primi 20 gruppi, a farla da padrone sono quelli di matrice pubblica come Eni ed Enel, appunto, oltre a Finmeccanica, Poste, Ferrovie dello Stato, A2a, o che derivano da ex privatizzazioni come il caso di Telecom. Ma non è tutto oro quello che luccica. Perché nel carrozzone statale ci sono anche aziende che registrano costanti perdite. E’ il caso della Rai che da cinque anni di fila chiude il bilancio di esercizio in rosso. I conti del 2011 dovrebbero, finalmente, far raggiungere un pareggio di bilancio, ma non c’è neanche il tempo di festeggiare, visto che le attività già programmate per il 2012 riporteranno in negativo i conti di viale Mazzini. Il budget per l’anno corrente, infatti, prevede uscite superiori di 16 milioni di euro rispetto alle entrate. Tutta colpa degli Europei di calcio di Ucraina e Polonia e le Olimpiadi di Londra, che insieme sono costati ben 140 milioni di euro. Un dato significativo che impone una riflessione rispetto ai limiti e alla difficoltà di una televisione pubblica che anno dopo anno perde sempre più competitività soprattutto sul mercato internazionale dei diritti televisivi per i grandi eventi di sport, finanziata quasi esclusivamente dal canone. A testimoniarlo la scelta di rinunciare ai diritti sulla prossima edizione della Champion’s League che emigra in chiaro su Mediaset.

Torna d’attualità, quindi, in tempo di crisi, la possibilità di privatizzare le società statali per dare ossigeno alle casse dell’erario e per riacquisire la giusta competitività economica. Alcuna stime parlano di una cifra compresa tra i 400 e i 600 miliardi di euro che potrebbero arrivare da una privatizzazione di aziende e bene pubblici. Di contro, c’è chi sostiene che farlo adesso significa quasi voler svendere il patrimonio dello Stato come già fatto in passato. Non sempre, però, il pubblico ci ha rimesso: la vendita di Telecom si è rivelata, invece, un buon affare con il prezzo di vendita di 13 miliardi che, attualizzati a fine 2011, sono diventati 17, a fronte della capitalizzazione della società telefonica alla stessa data di soli 11,5 miliardi.