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Come gestire il rischio sul Ftse Mib in questa fase dei mercati?

Ancora una giornata negativa per Piazza Affari che ieri ha chiuso a -1,32% appesantita dai bancari. Ancora una volta, in un'Europa sempre debole il Fste Mib rappresenta la maglia nera del Vecchio Continente. Come mai? A rispondere è Riccardo Fracasso consulente finanziario ed autore del blog Finanza e Dintorni .

1) Borse Europee in rosso ma Piazza Affari si contraddistingue spesso per essere la maglia nera. Quali i motivi per questa discrepanza fra l'Italia e il resto del Vecchio Continente?

La sua marcata presenza all’interno del nostro indice ha spesso fatto del settore bancario la causa di marcate discrepanze rispetto alle altre borse, nel bene e nel male. I numeri provano che quanto sta succedendo non si distingue dal passato: dai massimi della scorsa estate, il settore bancario europeo ha perso il 36% a fronte del nostro -46%, un divario di dieci punti percentuali che, inevitabilmente, si è tradotto in una minor forza relativa per Piazza Affari. Purtroppo, le difficoltà legate al settore bancario europeo non sono terminate e fino a che non saranno trovate soluzioni credibili e/o non sarà raggiunto un minimo profondo, difficilmente potremo assistere a ripartenze di ampio respiro.Inoltre, attualmente è assente sia il classico panico da esaurimento trend che un market mover di spessore in grado di trainare verso l’alto i mercati in modo duraturo.

2) Come gestire il rischio in questa fase dei mercati?

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Esistono fasi di mercato in cui è consentito giocare all’attacco ed altre in cui è preferibile difendersi. La presenza di una lunga serie di importanti elementi di allerta classifica l’attuale fase di mercato come una di quelle in cui è bene mantenere un approccio conservativo. Troppo spesso l’investitore comune è terrorizzato più dall’idea di perdere un’occasione che da quella di perdere denaro. La mano primaria conosce bene i punti deboli degli investitori come l’euforia, il panico, l’avidità, l’impazienza, e li sfrutta, li alimenta e li usa come leva per trarne vantaggio. Per quanto siano da metter in conto ulteriori slanci rialzisti, al momento, sui mercati non vedo alcun treno che non possa essere ripreso a livelli anche nettamente inferiori entro fine anno. Il rischio, pertanto, va gestito con grande pazienza e con una buona dose di distacco emotivo. E’ mio parere che l’investitore non debba considerare possibili rialzi come movimenti da cavalcare ma come opportunità per alleggerire eventuali posizioni long in portafogli. Strategia inversa, invece, per i metalli preziosi, da acquistare sulle correzioni.

3) Sempre molto acceso il dibattito tra pianificazione passiva e attiva. Di cosa si tratta e qual è la sua opinione in merito?

La pianificazione passiva diversifica il portafoglio rispettando le classiche coordinate fornite dal cliente (orizzonte temporale e profilo di rischio) ma incurante del contesto. Con la pianificazione attiva, invece, i pesi dei vari asset sono stabiliti anche in base alle rispettive prospettive.

Un’efficace applicazione di quest’ultimo metodo consente, tra l’altro, di ridurre/azzerare nei periodi ritenuti sfavorevoli il peso degli asset volatili (azioni, materie prime, ecc.), la cui presenza è giustificata solo nel caso di una probabile sovraperformance rispetto a quelli più conservativi.

Pertanto, mentre con la pianificazione passiva il valore aggiunto fornito dal consulente finanziario si limita alla (importante) selezione dei migliori strumenti d’investimento, con quella attiva si estende anche alla ponderazione della view di mercato. Grande rispetto per i professionisti che, con onestà, non riconoscendosi le conoscenze necessarie, adottano il metodo passivo piuttosto che improvvisarsi in una gestione dinamica che finirebbe solo per essere controproducente. D’altro canto, però, all’interno dell’ambiente finanziario sono paradossalmente e frequentemente mosse critiche proprio nei confronti di chi, con vari anni di intenso studio alle spalle (e chissà quanti altri di fronte), offre ai propri clienti un valore aggiunto. S’è capovolto il mondo: si critica la maggior competenza.

La Consob ha rivelato che il 75% delle persone ritiene inutile la consulenza. Secondo altri sondaggi la maggioranza dei risparmiatori, per prendere decisioni finanziarie, preferisce rivolgersi ad amici o parenti anziché ad un professionista del settore. Sono dati che devono far riflettere. Tra le motivazioni, la convinzione (in parte anche fondata) di una certa incompetenza da parte dei professionisti. Il consulente finanziario deve riappropriarsi del proprio ruolo e non può certamente riuscirci screditando chi può vantare una preparazione superiore.

Secondo uno studio (Fonte: Standard & Poors Global Financial Literacy Survey, 2014) la percentuale della popolazione italiana che può vantare un’adeguata cultura finanziaria è solo del 37%, sensibilmente inferiore a quella degli altri Paesi sviluppati (che in alcuni casi supera persino il 60%) e tristemente in linea con quella dei Paesi emergenti.

In buona sostanza, proprio in Italia, laddove non ne è percepita l’esigenza, sarebbe estremamente utile la presenza di una figura professionale, a maggior ragione se preparata.

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