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Credito alle Pmi e poltrone: la posta in gioco nella riforma delle banche popolari

Credito alle Pmi e poltrone: la posta in gioco nella riforma delle banche popolari

Dopo le banche popolari, potrebbe toccare alle Bcc. Le indiscrezioni delle ultime ore danno il Governo in pressing anche sugli istituti cooperativi di piccole dimensioni affinché riformino il loro status per aprire le porte al mercato. Una soluzione che continua a dividere il mondo della politica e quello dell'economia, cosa che non sorprende alla luce delle ricadute attese sul fronte del credito alle famiglie e alle Pmi, nonché sui nuovi gruppi di potere che potrebbero formarsi al posto di quelli consolidati per anni.

Il piano del Governo
Nei giorni scorsi l'Esecutivo ha varato un decreto in virtù del quale le dieci principali banche popolari italiane (quelle con attivi superiori agli 8 miliardi di euro ) sono chiamate a rinunciare entro 18 mesi alla natura cooperativa (per cui in assemblea si vota secondo il principio "una testa, un voto", a prescindere dalle azioni detenute) per trasformarsi in società per azioni (ciascun socio conta in proporzione alle quote possedute). L'obiettivo è rilanciare per questa strada il credito in Italia, che da tempo segue un trend discendente, nonostante qualche piccolo segnale di risveglio che arriva dall'economia reale. Il nodo principale è costituito dalle sofferenze (crediti concessi e che, si prevede, non verranno restituiti), che continuano a crescere, spingendo gli istituti a concedere credito con grande prudenza. Il ragionamento alla base del decreto è che le Spa possono attirare nuovi investitori, e per questa strada consentire alle banche di crescere. Le economie di scala che si produrrebbero dovrebbero rendere più agevole la ripresa del credito. La misura ha trovato l'immediata opposizione delle banche popolari, e anche in Parlamento si registrano prese di posizioni critiche in tutti i partiti. Un aspetto da non trascurare, considerato che ora toccherà alla Camera e al Senato discutere della conversione in legge.

Chi concede il credito
Uno studio pubblicato nei giorni scorsi dalla Cgia di Mestre rivela che, tra il 2011 e il 2013, le banche popolari sono state le uniche ad accrescere la quantità di credito offerto alle famiglie e alle imprese (+15,4%), mentre nello stesso periodo sono calati gli impieghi da parte delle Spa (-4,9%) e delle banche di credito cooperativo (-2,2%). Se tuttavia si analizza l'ultima Relazione Annuale della Banca d'Italia emerge che le banche costituite come Spa, pur essendo 183 contro 385 banche popolari, nel 2013 hanno erogato il 72,5% del credito in Italia, contro il 15% delle popolari. Dunque, le prime negli ultimi anni hanno stretto i rubinetti, ma la loro capacità di crescita dimensionale porta comunque a una maggiore facilità nel finanziare le famiglie e le attività economiche.

La posta in gioco
Al di là dell'interesse dei risparmiatori e degli investitori, sulla riforma delle popolari si gioca anche una partita di potere. I vertici delle popolari sono accusati di perpetuare i loro ruoli nel tempo, venendo meno al principio alla base della loro nascita che li voleva come istituti vicini al territorio. In sostanza, succede che alle assemblee societarie partecipano in massa dipendenti ed ex-dipendenti, mentre i soci esterni (come i piccoli correntisti) di solito disertano questi appuntamenti. Il risultato, spesso (ma non sempre) è che le decisioni non vengono assunte nell'interesse di tutti gli azionisti, ma solo della prima categoria. E lo stesso vale quando si tratta di assegnare le poltrone e gli incarichi di consulenza.

Verso un compromesso?
Detto delle diverse posizioni, va anche sottolineato che gli sherpa sono al lavoro per cercare una soluzione di compromesso. Assopopolari sta lavorando a una proposta di autoriforma, che accolga gli inviti della Vigilanza a una maggiore apertura verso il mercato, ma preservi - almeno in parte - il voto capitario. I grandi investitori potrebbero vedersi riservare una quota importante dei posti di comando, mentre per il resto continuerebbe a valere il principio "una testa, un voto". In questo modo verrebbe accolta la critica degli istituti interessati, che temono l'arrivo di speculatori internazionali interessati solo a massimizzare l'investimento, disinteressandosi dell'interesse reale dei territori. Qualche apertura in tal senso potrebbe arrivare anche dalle Bcc, con un'autoregolamentazione che apra le porti alle aggregazioni. I prossimi giorni saranno decisivi al riguardo.