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In Italia non c’è il nucleare ma lo continuiamo a pagare in bolletta

(Getty)
(Getty)

Il referendum del 1987 ha sancito la chiusura delle quattro centrali nucleari in Italia. I rifiuti radioattivi prodotti sono stati affidati alla Sogin-Società gestione impianti nucleari. Si tratta di un’azienda di Stato (100 per cento del Tesoro ma supervisionata dal ministero dello Sviluppo), nata nel 1999 per smantellare le centrali di Caorso, Trino, Latina e Garigliano, oltre agli impianti ex-Enea. I costi li paghiamo tutti, ancora oggi, addebitati nella bolletta elettrica.

I costi iniziali

I conti li ha fatti il Corriere della Sera, nell’inchiesta Dataroom di Milena Gabanelli, e negli anni sono inesorabilmente lievitati. Nei primi anni 2000 viene stabilito dove stoccare in sicurezza, per 300 anni, i rifiuti a bassa e media attività. La tabella di marcia prevedeva che lo stoccaggio dei rifiuti si sarebbe dovuto espletare entro il 2014 e lo smantellamento delle centrali entro il 2020: costo 4,5 miliardi.

Il rallentamento dei lavori

Nel 2013 si sposta in avanti, fino al 2025, e la previsione di spesa sale e 6,48 miliardi di euro. Dopo quattro anni il piano industriale si aggiorna ancora e fissa al 2036 la fine dei lavori, con 11 anni di ritardo rispetto alla precedente scadenza. I costi lievitano a 7,25 miliardi di euro.

Quanto abbiamo pagato

Dal 2001 ad oggi, 3,7 miliardi di euro sono stati pagati dagli utenti, con i costi addebitati nella bolletta della luce. Solo 700 milioni sono stati però utilizzati per lo smantellamento dei rifiuti. Il resto è finito per pagare la struttura, circa 1,8 miliardi, tra spese e stipendi del personale. Resta da eseguire il 70 per cento delle attività che non saranno portate a termine entro la fine del 2050.

I controlli

Sono state previste delle penali in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, ma l’Autorità per l’energia ha sempre rimborsato. Oggi i rifiuti, in attesa dello smaltimento, sono conservati in contenitori vecchi di 50 anni, nei vari siti che presentano problemi per la sicurezza. Come quello di Saluggia, a Vercelli, dove sono custoditi 230 metri cubi di rifiuti liquidi ad alta attività. Nel 2000 l’impianto è stato allagato, per la terza volta, a seguito di un’alluvione.

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