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Giovani, precari e sfruttati: viaggio nell’Italia dei lavoratori sottopagati

Intervista a Eleonora Voltolina, autrice di ‘Se potessi avere mille euro al mese’

Fino a qualche anno fa si parlava di “generazione mille euro”. Il riferimento era alla retribuzione media di tutto quell’esercito di giovani lavoratori italiani che sopravviveva con contratti di lavoro precari e pochissime garanzie per il futuro.  Negli ultimi anni però il quadro è peggiorato. I mille euro di stipendio mensile sono diventati una chimera per milioni di persone, costrette a lavorare gratis o ad accontentarsi di paghe minime. Avvocati, medici, giornalisti, artisti, archeologi, ricercatori universitari, partite Iva: la lista dei professionisti sottopagati e sfruttati è lunga, e aumenta con l’avanzare della crisi.

Quella del lavoro precario e sottopagato è una doppia condanna. La prima è per i giovani, che in questo modo non riescono mai a rendersi indipendenti e a progettarsi un futuro. La seconda, forse ancora più grave, è per l’Italia stessa, perché il diffondersi della piaga mette in difficoltà le famiglie, che sono costrette a sobbarcarsi il mantenimento di figli e nipoti, strozza i consumi e impedisce al Paese di crescere e di uscire dalla recessione. La giornalista Eleonora Voltolina, direttrice della testata online La Repubblica degli stagisti, ha raccontato le storie dei giovani sottopagati nel libro Se potessi avere mille euro al mese (pp. 192, 15 euro, Laterza 2012). Yahoo! Finanza l’ha intervistata.

Voltolina, lei scrive che trovare dati e statistiche sui lavoratori precari e sottopagati non è stato facile. Perché?
"Manca una chiara volontà politica, a tutti i livelli, di dare importanza al tema. Siccome questi dati sono brutti, si preferisce nasconderli un po’, non renderli trasparenti. Anche perché se le cose vengono dette in modo chiaro, si permette all’opinione pubblica di criticarle".

Qualche esempio?
"Prendiamo il calcolo della pensione. Se un lavoratore dipendente con contratto mediamente stabile vuole calcolare con l’Inps il trattamento pensionistico ha in breve una risposta. A un lavoratore parasubordinato invece non è dato di sapere in anticipo quale sarà la sua pensione. Anche il presidente dell’Inps Mastrapasqua si è lasciato sfuggire la frase: "se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale". E lo stesso problema si osserva per esempio con il numero degli stagisti negli enti pubblici: sono stati chiesti più volte, sono state fatte interrogazioni parlamentari, ma mai nessuna risposta. Eppure la gente vuole sapere quanti sono, che cosa fanno, come vengono trattati".

Nel libro esamina la situazione di tante categorie diverse (medici, avvocati, giornalisti, partite Iva...) cosa c’è di simile in tutti questi casi?
"Un tratto comune è che esiste più di una generazione di giovani, che non sono assolutamente bamboccioni, che si fanno ‘il mazzo tanto’, mi passi l’espressione, e ottengono poco: studiano, approfondiscono, fanno esperienze all’estero. Ma al momento di vendere le loro prestazioni professionali, si trovano di fronte a contratti umilianti e a retribuzioni infime. Un’altra somiglianza è che quasi tutti puntano sul sostegno delle loro famiglie per andare avanti, e non si tratta solo di figli di notai, anzi. E’ una situazione sbagliata per la crescita di un paese. Così si crea un sistema ancora meno meritocratico".

Ha notato invece differenze sostanziali tra le categorie di lavoratori che ha esaminato?
"Ci sono alcune categorie, come i medici, per le quali il momento di indigenza è limitato a pochi anni. Ma il lavoro prestato gratis, anche solo per brevi periodi, è sempre una grande ingiustizia".

Chi sta messo peggio?
"Forse proprio i giornalisti, la cui intera prospettiva professionale è molto fragile. Purtroppo, spesso la retribuzione è molto bassa perché quello giornalistico è un settore inflazionato: moltissimi vogliono fare questa professione. Ma la carta stampata è in calo e sul web, come è noto, il mercato non è ancora ben sviluppato se non per le realtà più grandi. Ai giornalisti aggiungerei gli artisti e i ricercatori universitari. Per questi ultimi, le prospettive di carriera a volte vengono tagliate. C’è chi si mantiene per anni con una borsa di studio da mille euro al mese".

Qual è la storia raccontata nel suo libro che umanamente l’ha colpita di più?
"Non voglio fare torto a nessuno. Ma se devo indicarne una, anche con una punta di femminismo, è la storia di Serena, uno dei medici di cui ho parlato. Questa ragazza ha fatto una gavetta lunghissima come anestesista e ha perso il lavoro quando ha avuto il bambino".

Che ne pensa della riforma del lavoro varata dal governo?
"Così come è stata scritta prima dell’esame in Parlamento ha degli aspetti interessanti, come la stretta sull’abuso di alcune tipologie contrattuali e il fatto di aver messo dei limiti al tempo in cui si può impiegare una persona con un contratto temporaneo e instabile. Ma i problemi non mancano. Intanto non sono state abolite le tipologie contrattuali più penalizzanti. E poi tra i nuovi sostegni introdotti, Aspi, mini Aspi e una tantum solo l’Aspi è un ammortizzatore vero e proprio, ma copre solo alcune categorie. La mini Aspi copre per meno tempo e l’una tantum assicura cifre molto basse".

La riforma del lavoro prevede che si smetta con l’abuso degli stage non retribuiti. Che ne pensa?
"Precisiamo che l’articolo 12 del ddl che riguarda i tirocini è una ‘promessa’ da parte dello Stato di elaborare una riforma in merito insieme alle Regioni. Il testo è buono, perché prevede un rimborso obbligatorio e delle sanzioni per chi non rispetta le regole. Ma l’articolo è già in pericolo. Per esempio, l'assessore regionale toscano Gianfranco Simoncini ne ha chiesto la soppressione perché costituirebbe un’‘invasione di campo’ da parte dello Stato e avrebbe ‘profili di incostituzionalità’ perché la materia della formazione è di competenza regionale. In realtà lo Stato ha la prerogativa di dettare delle linee guida su un tema per fare in modo che certi standard minimi vengano applicati in tutte le Regioni: una normativa leopardizzata sarebbe una follia".

Qual è invece il suo parere sulla riforma delle pensioni? Cosa cambia per le nuove generazioni?
"Un intervento andava fatto: con l’invecchiamento non si può mantenere un’età pensionabile fissa e bassa. D’altronde, una cosa è essere un 60enne nell’Italia degli anni ’50 e un’altra è esserlo oggi. Sicuramente un passo falso è quello degli esodati e mi aspetto un correttivo quanto prima. Quanto ai giovani, il sistema contributivo per tutti era l’unica soluzione sostenibile. Mi chiedo però perché non sia stato retroattivo. In questo modo, restano alcune iniquità: c’è chi ha maturato molti diritti pagando pochi contributi mentre le nuove generazioni si troveranno tra 40 anni con un trattamento pensionistico peggiore, vedendosi applicare in pieno gli effetti del sistema contributivo puro".