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Manovra correttiva, puntare sulla lotta all’evasione?

Nella trattativa tra Commissione europea e governo italiano sulla manovra aggiuntiva le misure anti-evasione sono apparentemente il terreno ideale per trovare un compromesso. Ma non è affatto detto che le soluzioni a cui si pensa siano opportune, al di là dei problemi tecnici che comportano.

Due misure di successo

Appare evidente che le rigidità algebriche della Commissione europea siano tecnicamente e politicamente poco credibili e che il governo italiano non possa né voglia sottoporsi a una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo. Un compromesso appare quindi possibile, ma dovrebbe essere praticabile tecnicamente e desiderabile negli effetti.

Nella lettera inviata dal governo si afferma che la correzione strutturale, di entità non precisata, sarà composta per tre quarti da aumenti di entrate. Sono citati interventi sulle imposte indirette, sulle accise nonché l’“ulteriore miglioramento delle policy recentemente adottate, con risultati soddisfacenti, per aumentare il gettito incassato”. Si fa evidentemente riferimento alle misure introdotte con la legge di stabilità per il 2015, ovvero lo split payment e il reverse charge. In entrambi i casi, l’Iva viene versata al fisco direttamente dall’acquirente del bene o del servizio che, nello split payment, è la pubblica amministrazione mentre nel reverse charge è un soggetto Iva che opera in determinati settori.

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I risultati soddisfacenti citati nella lettera, ed effettivamente documentati almeno per quanto riguarda lo split payment, derivano dalla maggiore affidabilità, come “esattori” dell’Iva, della pubblica amministrazione e degli acquirenti di alcuni beni e servizi (edilizia specializzata, servizi di pulizia) rispetto al cedente o prestatore degli stessi.

A sua volta, la maggiore affidabilità sembra legata anche alle dimensioni dei soggetti e alla rigidità organizzativa: una grande società di capitali, per sua natura, ha bisogno di monitorare i propri costi attraverso una corretta contabilità, mentre un’impresa di dimensioni inferiori e con una struttura organizzativa flessibile evade a basso costo. I recenti risultati della Commissione sull’evasione fiscale testimoniano non a caso una rilevante differenza tra il tax gap (la quota di imposta teoricamente dovuta ma non versata) dell’Ires – l’imposta dovuta dalle società di capitali (mediamente più grandi e organizzate) – pari al 36,1 per cento tra il 2010-2014 e il tax gap dell’Irpef dovuta da imprenditori individuali e lavoratori autonomi, pari al 55,9 per cento nello stesso periodo.

Se si considera che aumenti delle aliquote Iva o delle accise sui carburanti sono elettoralmente indigesti, appare probabile che proprio sull’estensione dello split payment e del reverse charge possa puntare il governo italiano per disegnare la manovra correttiva. In particolare, vi sono numerose transazioni nelle quali l’acquirente è più grande e strutturato del fornitore: si pensi alle forniture del piccolo commercio alla grande distribuzione, o ai beni e servizi acquistati dai gestori delle utilities (ferrovie, energia elettrica, gas, acqua) dai loro fornitori.

Problemi tecnici e di opportunità

Tuttavia, da un punto di vista tecnico non si tratta di soluzioni semplici. Poiché le imprese citate (grande distribuzione e utilities) sono soggetti Iva, andrebbe loro esteso il reverse charge, ipotesi che, nel caso della grande distribuzione, il governo aveva già avanzato due anni fa, ricevendo un diniego dalla Commissione europea. Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) caso delle public utilities, si potrebbe tentare la strada dell’allargamento dello split payment, argomentando che i gestori dei servizi di pubblica utilità sono sostanzialmente assimilabili a pubbliche amministrazioni dal punto di vista fiscale. Ma anche questa appare una strada impervia, perché non si vede come la natura privatistica degli enti, accertata a fini contabili, possa poi essere ribaltata a fini fiscali.

Ma seppure questi problemi fossero superati, ci si deve chiedere se si tratterebbe di soluzioni opportune. La strategia più efficiente per ridurre l’evasione consta di due elementi. Da un lato, l’incremento dell’azione di spinta alla compliance (adempimento degli obblighi) basata sull’incrocio dei dati, a cominciare da quelli del nuovo spesometro che va coordinato con la riforma degli studi di settore e che è finalizzato a introdurre la dichiarazione precompilata Iva entro pochi anni, sull’esempio delle migliori pratiche europee.

Dall’altro lato, per coloro che non adeguano i propri comportamenti, c’è l’utilizzo dell’accertamento in funzione di “deterrenza speciale” come in parte avviene già ora, ma che è reso sempre più difficile dal combinato disposto di tagli al personale e moltiplicazione dei compiti attribuiti all’Agenzia delle entrate. Oberare l’amministrazione con ulteriori procedure, per ottenerne benefici minimi, rischierebbe di “ingolfare la macchina” proprio adesso che la svolta 2.0 nella strategia di contrasto dell’evasione è vicina.

Di Alessandro Santoro

Autore: La Voce Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online