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Brasile sull'orlo del caos

Fino a qualche tempo fa il Brasile era riuscito a sopperire alle sue tante lacune economiche e sociali facendo affidamento sugli introiti delle materie prime e su tutti il petrolio: venendo meno queste è crollato il castello di carte sul quale si ergeva una delle più grandi democrazie del mondo.

Lo stillicidio

E ieri il colpo di grazia: Pmdb (Partito del Movimento Democratico Brasiliano, in lingua locale Partido do Movimento Democratico Brasileiro), il partito più grande della nazione sarebbe intenzionato a lasciare il governo guidato da Dilma Rousseff aumentando le probabilità di un crollo della coalizione e di all’impeachment per la presidente Rousseff. Entro il 12 aprile, secondo quanto dichiarato dal leader del partito Michel Temer, ogni rappresentante del Partito che ricopre incarichi all’interno dell’esecutivo, lascerà il suo ruolo.

Lo stillicidio, e con ogni probabilità anche il caos politico, ha inizio.

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La situazione attuale

Attualmente la situazione del paese è molto particolare: l’inflazione galoppante, ha raggiunto il 10%, il debito è in gran parte denominato in valuta locale ma la crescita vede un Pil che solo nel 2015 ha registrato una contrazione del 3,8% gettando il paese nella peggiore recessione dell’ultimo quarto di secolo anche perchè le previsioni del Fondo Monetario Internazionale prospettano un 2017 con un prodotto interno lordo in ulteriore contrazione del 3,5%, anche se a quanto sembra le riserve valutarie in moneta estera ancora abbondanti (370 miliardi di dollari). Insomma una serie di germi di una crisi che sta bollendo in pentola da parecchio tempo.

Il problema che rischia di far deflagrare il sistema nazionale nasce, cresce ed esplode nell’ambito politico. Ma ci sta maturando ormai da anni. Se la pietra (grossa) dello scandalo sono le tangenti che sono nate intorno alla società petrolifera di stato Petrobras, la radice invece si trova nella mancanza di vantaggi che la nazione ha tratto dalle sue ricchezze.

Le (Taiwan OTC: 8490.TWO - notizie) occasioni perdute

In altre parole durante il boom tra il 1998 e il 2011, come confermano dal Fmi, gli altri settori produttivi non hanno ricevuto investimenti nè la conseguente crescita che questi avrebbero garantito, diventando poi un supporto all’economia nel momento in cui le commodity avessero compiuto la naturale parabola che storicamente compiono. E che si è avverata. Nello specifico il Brasile si limita, pur con una politica di gestione economica diretta dallo stato, a investire molto poco, risultando, nella classifica dei paesi Latino Americani, addirittura dietro a nazioni come il Messico e il Cile. Un primo esempio arriva da Petrobras, la società petrolifera in mano al governo, che ha tagliato del 20% i progetti previsti per il prossimo triennio; un esempio non di secondaria importanza visto che da sola l’azienda rappresenta il 10% degli investimenti del Paese. I livelli di investimenti pubblici e privati sono talmente in calo che arrivano a toccare i minimi da oltre 4 anni. Ma se prima, nel recente passato, il governo poteva addurre come sorta di alibi morale, l’erosione data da tassi di interesse e inflazione, oggi, o per meglio dire dall’inizio del nuovo millennio, il problema è stato calmierato con una fluttuazione del real permessa ormai già dai tempi del presidente Cardoso. Il paradosso si è creato quando, nel 2009, di fronte a una crescita del 7,5% creatasi per effetto delle materie prime, tutti hanno vist questo avvenimento come una conferma e non come una contingenza. In altre parole il trend non era sostenibile sul lungo periodo.

Ed oggi si è sgonfiato, azzoppato anche dal problema politico e dalla corruzione diffusa a livello di sistema mentale. Non solo, ma al colpa è anche di una gestione delle risorse economiche, derivanti da quelle naturali, che si è sviluppata a macchia di leopardo: da una parte provvedimenti diretti a sostegno delle famiglie, dall’altra le tangenti per gli appalti delle grandi manifestazioni che hanno visto il Brasile in una vetrina internazionale sprecata.

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