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Come YouTube sta modellando il futuro del mondo del lavoro

Il logo di YouTube (foto: Getty Images)
Il logo di YouTube (foto: Getty Images)

Anche se non è considerato a tutti gli effetti un social media, YouTube è uno dei luoghi più frequentati e commentati nel mondo del web. Grazie alle visualizzazioni, molti ragazzi e ragazze hanno cominciato a guadagnare denaro, diventando ‘youtubers‘ o genericamente ‘influencers’ alla Chiara Ferragni: la visibilità ha permesso loro di stipulare contratti di sponsorizzazione e di diventare famosi anche fuori dal mondo digitale.

Ma YouTube non sta solamente creando posti di lavoro impensabili sino a 20 anni fa. Sta modificando il mondo del lavoro e le aspettative degli studenti che si affacciano a esso. Prendiamo ad esempio uno youtuber che raggiunge il successo con centinaia di migliaia di follower: i soldi cominciano ad affluire, si investono nel miglioramento di una carriera online che a quel punto deve resistere nel tempo, e poi cominciano i guai veri. Quanto durerà? Cosa farò per mantenere il livello raggiunto?

Più in alto si sale, più si dà importanza ai numeri, e l’entusiasmo lascia spazio al terrore di finire nella parte bassa della piramide dei guadagni di YouTube. Tutto questo però cosa ha a che fare con l’idea di lavoro che si instaura nella mente dei giovani?

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Ebbene, a forza di vedere modelli riusciti su YouTube (da chi indossa abiti a chi si trucca, da chi parla sottovoce a chi recensisce i videogiochi, da chi suona cover a chi fa scherzi stupidi, da chi parla di auto da corsa a chi di camminate in montagna) i giovani si aspettano di poter fare lo stesso, prendendo la loro passione e usarla come perno per fare carriera; e chi non riesce a raggiungere la cima della piramide, sente di aver preso parte a un fallimento personale.

Tutto parte dall’evoluzione del mondo del lavoro: dagli schiavi delle epoche antiche, senza diritti, si è passati a una selva di lavori infinita, attraverso titoli e impieghi più disparati e a volte del tutto inutili (un buon esempio è l’opinionista di un programma calcistico: pur con tutto il bene che si vuole e la preparazione che bisogna avere, lascia il mondo esattamente così com’era, visto che i risultati non cambiano nonostante l’espressione di un’opinione). Nel terzo millennio la tensione di riuscire nel mondo del lavoro si traduce in due modi: o si tenta nel modo classico, lavorando sodo, 60 ore alla settimana nel tentativo di costruire qualcosa di personale in un’azienda o per sé stessi, oppure ci si convince di essere delle star in erba su YouTube (o su Instagram).

Ovviamente c’è una via di mezzo (che però richiede tempo): fare un lavoro che permette di restituire qualcosa al mondo (che sia ad esempio in ospedale o in un’officina meccanica) e dedicare ai momenti a casa il canale YouTube nel quale si vuole raccontare qualcosa di diverso. Chi riesce a farlo, avrà un modo per guadagnare abbastanza soldi per non lamentarsi. Ma tutto il resto della base di Youtube naviga nell’incertezza di avere successo in quel canale e nella consapevolezza che mai come oggi il mondo del lavoro risulta essere precario.

Chi è nato dopo il 2000 si trova nella condizione di poter scegliere se affidarsi totalmente a un destino digitale, sapendo che ogni successo, piccolo o grande che sia, potrebbe risultare terribilmente effimero, o a un percorso tradizionale, con tutti i rischi che ci sono in un’epoca di transizione come quella attuale. YouTube ha dato l’impressione che guadagnare possa essere facile prendendo la ‘scorciatoia dell’influencer’: così facendo anche i lavori tradizionali hanno perso parte della loro attrattiva.

Una visione positiva della situazione potrebbe essere questa: qualora tutti trovassero la loro nicchia d’appartenenza nel mondo del lavoro, tradizionale o digitale che sia, si potrebbe assistere a una stabilizzazione del mercato, con la concorrenza in grado di assegnare a ognuno il suo grado meritocratico. Guadagnare un po’ meno e guadagnare tutti? Chissà se un’utopia del genere potrà mai essere raggiunta.

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