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Draghi spiega la nuova Irpef ai sindacati. Ora la trattativa è sui contributi

Italian Prime Minister, Mario Draghi (R), is welcomed by the General Secretary of the national trade union Italian General Confederation of Labour (CGIL - Confederazione Generale Italiana del Lavoro) Maurizio Landini (L), upon his arrival at the union headquarters, in Rome, on October 11, 2021 as a gesture of solidarity towards the CGIL following the assault on their headquarters two days ago. - Hundreds of people gathered to demonstrate against anti-coronavirus measures in central Rome, on October 9, 2021, clashing with police and wrecking premises including the headquarters of the CGIL trade union federation.

“Vi farò sapere prima del Consiglio dei ministri di domani mattina”. Quando Mario Draghi congeda i leader di Cgil, Cisl e Uil con la promessa di una telefonata, nella Sala Verde di palazzo Chigi si è consumato un cambio di metodo. Voluto dal premier, scortato dall’uomo dei numeri, quel ministro dell’Economia a cui i sindacati, appena tre giorni fa, avevano rimproverato una scarsa, meglio nulla, capacità di dialogo, sintetizzata in uno stizzito “non ci hanno fatto vedere neppure le tabelle”. Questa volta la tabella c’è, preparata dai tecnici del Tesoro. Serve al premier per spiegare come cambierà l’Irpef, ma soprattutto per dire che quasi la metà della dote di 7 miliardi andrà ai redditi fino a 28mila euro, a quelle fasce più basse attenzionate dalla controparte. Ma la volontà, che è anche necessità, di non far esplodere la protesta dei sindacati nello sciopero o comunque nell’amplificazione del dissenso, non si regge solo sulla spiegazione. E per questo il premier apre a un taglio dei contributi.

Quello di Draghi è un impegno che però dovrà tenere conto degli umori dei partiti della maggioranza. E per questo prima ancora del Cdm e prima ancora di risentire i sindacati, il premier riunirà la cabina di regia di buon mattino. Ma veniamo alla questione. La riduzione, solo per il 2022, dei contributi ha un costo e la spesa dipende dal bacino dei beneficiari: un conto è tagliare il cuneo dei lavoratori con un reddito fino a 15mila euro, un altro alzare l’asticella anche sopra i 40mila euro. Al momento l’ipotesi più accreditata è uno sconto di 0,5 punti percentuali sulla contribuzione mensile a carico dei lavoratori fino a 47mila euro. La scelta di palazzo Chigi è quella di intervenire solo sui contributi che riguardano i lavoratori, non su quelli che pagano gli imprenditori: il rischio è quello di scontentare Confindustria, ma anche la Lega, i renziani e in parte anche i 5 stelle. Ma su questo Draghi non intende retrocedere.

Soprattutto servono soldi: la riforma fiscale costerà meno di 8 miliardi il prossimo anno e da lì si è tirato fuori un tesoretto di 2 miliardi. I calcoli, finanziari ma anche politici, riguardano l’utilizzo di queste risorse: vanno spesi in larga parte contro il caro-bollette, come chiedono tra l’altro tutti i partiti, oppure è prioritario, come vogliono i sindacati, impiegare 1,5 miliardi per i contributi e 500 milioni per contenere i costi energetici? La coperta è corta. Il premier l’ha messo in conto, anche se diminuire il budget per le bollette non sarebbe un dramma dato che di miliardi ne sono stati già spesi 1,2 a giugno e oltre tre a settembre, con l’aggiunta di altri due nella manovra e ulteriori 500 milioni. Fino a marzo - è il ragionamento di palazzo Chigi - si può reggere. Ma servirà comunque un passaggio politico, soprattutto con la Lega. Giancarlo Giorgetti è tornato a dire che di miliardi ne servono “tanti” e soprattutto ha presentato il conto delle imprese che rischiano di chiudere.

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Sul fronte opposto mettere sul piatto 1,5 miliardi per tagliare il cuneo potrebbe chiudere il cerchio con i sindacati. Potrebbe perché Maurizio Landini, al termine della riunione a palazzo Chigi, ha detto che di risposte ne servono tante e su più fronti, dal precariato alle pensioni, ma anche togliere il miliardo riservato al taglio dell’Irap per darlo all’Irpef. Insomma l’impegno di Draghi potrebbe andare comunque a vuoto, ma certamente sarebbe più difficile per il leader della Cgil montare uno sciopero e rifiutare un intervento che guarda ai lavoratori delle fasce più deboli. C’è però una precisazione da fare: il fronte sindacale non è compatto. Se la Uil è allineata alla Cgil, la Cisl è decisamente più morbida e pronta a dire sì al taglio del cuneo per chiudere la questione.

L’amo è stato gettato, una sorta di trattativa di fatto c’è, ma resta anche la diffidenza su altri punti, come sulle nuove aliquote Irpef. Non è bastata neppure la spiegazione di Draghi. D’altronde hanno ragione anche i sindacati. Il 47% dei soldi a disposizione va ai redditi fino a 28mila euro, ma in queste fasce ci sono più lavoratori rispetto a quelli che rientrano nelle fasce più abbienti. La divisione produce un effetto minimo sui redditi fino a 15mila euro, che si traduce in un risparmio di 61 euro, che sale a 150 euro per i redditi fino a 28mila euro. La fascia 28-50mila euro è a cavallo tra la visione del Governo e quella dei sindacati e porta a un risparmio di 417 euro, ma sono i redditi tra 50mila e 55mila euro a beneficiare di più dalla riforma, con un risparmio di 692 euro (da 55mila a 75mila si scende a 468 euro, oltre i 75mila a 247 euro). Alla fine contano quanti soldi in meno se ne vanno per le tasse. E su questo non ci sono margini per una mediazione.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.