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Il rischio "materie prime" sull'Europa

Display of Chart and graph data background going to bullmarket after Recession Industrial Sector From Coronavirus ,Covid-19 (Photo: TERADAT SANTIVIVUT via Getty Images)
Display of Chart and graph data background going to bullmarket after Recession Industrial Sector From Coronavirus ,Covid-19 (Photo: TERADAT SANTIVIVUT via Getty Images)

La pandemia sta cambiando la geo-economia e le sue strutture produttive con una combinazione ancora inesplorata su molti fronti tra cui quello di un ritorno cruciale delle materie prime tutte? Sembra di sì, perché si assiste a forti incrementi di prezzi e scarsità di approvvigionamenti che preoccupano anche perché si era diffusa la convinzione che la dematerializzazione legata a internet, la possibilità di ridurre se non minimizzare l’uso delle materie prime per unità di prodotto, l’economia circolare e il riciclo, la riduzione dei volumi di trasporto, avrebbero reso sempre meno importante il loro ruolo. Si pongono adesso vari quesiti per capire se ci si trova di fronte ad un effetto ripresa post pandemia o a un ciclo lungo di aumenti dei prezzi come fu quello per petrolio per vari decenni del secolo passato.

Il recente Rapporto trimestrale di Prometeia, con la sua capacità di guardare lontano, affronta in modo nitido il problema. Per questo ci riferiremo spesso allo stesso con una interpretazione personale e con una conclusione geopolitica.

Materie prime e ripresa post-pandemia

All’inizio del 2020 i prezzi delle materie prime in euro, in base all’indice “commodities” di Prometeia, erano scesi molto accentuando un calo iniziato nel 2018. Da un minimo intorno all’aprile, la ripresa dei prezzi è stata violenta, per circa un 40%, portando l’indice in euro ai massimi storici.

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Molti sono i problemi che ne seguono, che vanno dalla spinta all’inflazione, alla scarsità selettiva di approvvigionamenti, al problema dei tassi di cambio tra euro e dollaro (che è ancora la valuta nella quale sono espressi la maggior parte dei prezzi), alla durata delle politiche espansive per contrastare la pandemia. Il problema materie prime è di nuovo in evidenza e, sebbene nel commercio internazionale la sua quota sia molto minore di quella dei manufatti, non bisogna proprio sottovalutarlo.

Prometeia si chiede con notevole lungimiranza se sia iniziato un “superciclo” nei prezzi delle materie prime destinato a durare a lungo. Per rispondere considera quattro “macro drivers” che nel seguito ricompongo e modifico a mio modo, senza quindi impegnare un giudizio di Prometeia.

La macro-dinamica della ripresa: la Cina per ora vince

La premessa indispensabile è un confronto sui dati della crescita dei vari Paesi che riprendiamo in base a Prometeia.

Sugli anni 2020 e 2021 le variazioni del Pil sono state e previste come segue. La Cina con un aumento del 2,2% e con uno dell’8,7%; il mondo con una decrescita del 3,7% e crescita del 6,1%; gli Usa con una decrescita del 3,5% e una crescita del 6,7%; l’area euro con una decrescita del 6,7% e una crescita del 4,3%; i Paesi industrializzati con una decrescita del 5,1% e una crescita del 5,4%.

Le proiezioni sul 2022, 2023, 2024 vedono sempre i tassi di crescita del Pil della Cina sopra quelli del mondo, degli Usa e dell’area euro. La Cina esce dunque in termini comparativi rafforzata rispetto alle altre grandi economie ed in questo contesto va posto il tema delle materie prime che intersecano politiche economiche e monetarie, ma anche politiche strategiche internazionali.

Domanda e offerta di materie prime

L’economia cinese è uscita dalla pandemia ponendo anche grande attenzione ai settori (ICT e rivoluzione verde) che in prospettiva cresceranno in misura più sostenuta, con forte richiesta di materie prime di cui ha fatto scorte pur avendo già una notevole dotazione. L’utilizzo di materie prime da parte della Cina è connesso anche alla potente espansione delle esportazioni nel 2021 (50% nel primo trimestre su quello del 2020). Nelle economie avanzate (in particolare Usa e Ue) la domanda di beni durevoli (elettrodomestici, auto, elettronica) che hanno un forte contenuto di materie prime ha contribuito anch’esso ad alimentare i forti rialzi dei prezzi delle materie prime. La pandemia ha inoltre portato a interruzioni produttive di molti impianti tra cui quelli per il rame e per i minerali di ferro in Perù, Brasile e Cile. Infine le basse scorte e la difficoltà di riportare a regime gli impianti di vari settori a forte utilizzo di materie prime (vedasi acciaio) hanno spinto i prezzi al rialzo. A ciò si è sommato l’aumento di costi dei trasporti marittimi.

Da questo mix di domanda e offerta è emersa una evidente scarsità di materie prime che si è manifestata sui prezzi di quasi tutte le commodities. Dal gennaio 2020 al maggio 2021 (con alcune potenti accelerazioni dal gennaio al maggio 2021) i prezzi di tutte le principali commodities sono aumentati nell’ordine di due cifre percentuali e talvolta anche di tre cifre.

Quali necessità per la “transizione verde”

Su questo ciclo rialzista dei prezzi delle commodities si innesta adesso una necessità che durerà decenni e cioè quella della “rivoluzione verde e della transizione green” che riguarda quasi tutti i paesi sviluppati (tra cui la Cina) ed in particolare nel Next Generation EU.

Prometeia rileva che si apre un lungo ciclo di investimenti senza precedenti in capacità di generazione, trasmissione e conservazione dell’energia da fonti rinnovabili che richiederà un’accelerazione della produzione di specifici metalli. Non è eccessivo chiedersi se questi potranno assumere una valenza geo-strategica simile a quella del petrolio nel ventesimo secolo. Si tratta in particolare di alluminio, nickel, litio, cobalto e terre rare, per citare le materie prime più importanti per la “transizione energetica”. E soprattutto rame che, per la trasversalità negli utilizzi, può essere considerato l’architrave della rivoluzione verde. Secondo le stime dell’International Energy Agency la produzione mondiale di rame dovrà crescere di oltre il 25% rispetto ai livelli attuali per mantenere l’economia mondiale su un sentiero di “sviluppo sostenibile” coerente con gli accordi di Parigi sul clima. E quella di “terre rare”, di oltre sette volte.

Una conclusione europea, geo-economica e geo-politica

Stante la concentrazione delle risorse minerarie in pochi grandi giacimenti, e considerati i tempi lunghi per attivare nuovi impianti, si pone più di una questione sulla capacità futura dell’offerta di far fronte all’incremento di materie prime “critiche” per la transizione energetica. Ritengo che questo sia un punto importante per capire se stiamo entrando in un ciclo lungo di crescita dei prezzi delle commodities.

Nella mia costante prospettiva europeista pongo allora un quesito precauzionale. A livello della Commissione europea si stanno valutando i costi di questa potente accelerazione e l’eventuale necessità di fonti continuative di approvvigionamento delle materie prime necessarie a tal fini? Mentre la Cina, già dotata di materie prime e terre rare, sta pianificando (anche ipotecando) questi approvvigionamenti su scala globale, temo che la Ue sia molto in ritardo. Ed ecco perché una nuova politica europea in Africa potrebbe servire a tre fini: ridurre le migrazioni, favorire lo sviluppo di un continente in crescita demografica esplosiva, garantirsi l’approvvigionamento di materie prime senza derive neo-colonialiste. La Ue e la somma dei suoi Paesi sono probabilmente i maggiori erogatori di aiuti allo sviluppo. Un po’ più di coordinamento sarebbe tuttavia auspicabile Il Next Generation EU, è una necessità inderogabile per la quale bisogna prepararsi anche con una nuova geopolitica per uno sviluppo sostenibile.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.