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"La Crusca dice che la "schwa" è inaccettabile. Ma si sbaglia"

(Photo: Screenshot)
(Photo: Screenshot)

“Il cambiamento linguistico non accade mai come risultato di un ragionamento a tavolino”: con queste parole, Roberta D’Alessandro, professoressa di Sintassi e Variazione linguistica presso l’Università di Utrecht, commenta ad HuffPost il caso dello schwa e degli asterischi sempre più impiegati nella lingua italiana per “opacizzare” le desinenze maschili e femminili, nel rispetto delle persone non binarie. L’Accademia della Crusca, in un lungo blog a firma del linguista Paolo D’Achille, si è espressa in modo deciso: “Non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo. [...] L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”. Lecito chiedersi quanto la lingua sia “imposta dall’alto” e quanto invece sia fatta dalle persone che la parlano e usano quotidianamente. Per la D’Alessandro, “non esiste regola imposta dall’alto che i parlanti abbiano acquisito - mai. Se da domani tutti volessimo cominciare ad usare l’abruzzese come lingua ‘ufficiale’ potremmo farlo senza problemi”.

″È sbagliato pensare che si tratti di un cambiamento in atto - aggiunge - si tratta di educazione linguistica, esattamente come quella che ci indica di segnare l’accento sulla è. L’accento sulla è, così come lo schwa, non sono parte della lingua: sono convenzioni ortografiche. Sbagliatissimo considerarle parte della lingua. La lingua è parlata e decisa dall’uso dei parlanti, non può mai essere imposta, e soprattutto deve essere acquisibile dai bambini che imparano. Una regola come quella dello schwa, nel sistema italiano che marca il genere binario e ha il maschile di default (cioè lo usa nei verbi impersonali o in quelli meteorologici) non è acquisibile. Ergo: occorre un esame di introduzione alla linguistica obbligatorio per tutti”.

Per la linguista, “D’Achille, che ha scritto per la Crusca, sa quello che dice”. L’Accademia, nel lungo blog pubblicato sul suo sito, ha specificato che la risposta al quesito posto dai lettori in merito all’uso della schwa “investe il piano strettamente linguistico, con riferimento all’italiano” e non il piano ideologico. E, tecnicamente parlando, il genere grammaticale e quello naturale nella nostra lingua sono cosa diversa e non hanno una sistematica corrispondenza. ”È indubbio che, in particolare quando ci si riferisce a persone, si tenda a far coincidere le due categorie (abbiamo coppie come il padre e la madre, il fratello e la sorella, il compare e la comare, oppure il maestro e la maestra, il principe e la principessa, il cameriere e la cameriera, il lavoratore e la lavoratrice, ecc.), ma questo non vale sempre: guida, sentinella e spia sono nomi femminili, ma indicano spesso (anzi, più spesso) uomini, mentre soprano e contralto sono, tradizionalmente almeno (oggi il femminile la soprano è piuttosto diffuso), nomi maschili che da oltre due secoli si riferiscono a cantanti donne. Arlecchino è una maschera, come Colombina”.

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Anche far ricorso al neutro per rispettare le esigenze delle persone non binarie, non è sostenibile, secondo la Crusca. Questo perché “l’italiano, diversamente dal latino, non dispone di elementi morfologici che possano contrassegnare un genere diverso dal maschile e dal femminile. D’altra parte, per venire all’attualità, anche in inglese il rifiuto dei pronomi he (maschile) e she (femminile) da parte delle persone non binarie non ha comportato l’adozione del pronome neutro it, presente in quella lingua ma evidentemente inutilizzabile con riferimento a esseri umani, bensì l’uso del “singular they”, cioè del pronome plurale ambigenere they (e delle forme them, their, theirs e themself/themselves), come pronome singolare non marcato”. La linguista D’Alessandro aggiunge: “Il plurale misto non esiste tra l’altro nelle lingue del mondo - è un’invenzione - si usa sempre uno dei generi già presenti nella lingua”.

La lingua è un organismo naturale, che evolve in base all’uso della comunità dei parlanti: se non fosse così, Dante non avrebbe mai scritto la “Divina Commedia” dato che per scriverla scelse il volgare fiorentino, quello letterario e quello della vita quotidiana, inserendo anche termini popolari, gergali e osceni. Eppure l’Accademia della Crusca parla di “un sistema” ormai difficile da modificare: “Da tempo l’ortografia italiana è da considerarsi stabilizzata, il rapporto tra grafia e pronuncia non presenta particolari difficoltà e i dubbi si concentrano quasi esclusivamente sull’uso dei segni paragrafematici (accenti, apostrofi, ecc.). Questo non esclude che, almeno in àmbiti molto precisi come la scrittura in rete e quella dei messaggini telefonici, si possano diffondere usi grafici particolari, spesso peraltro transitori; ma il legame sistematico tra grafia e pronuncia, così tipico dell’italiano, non dovrebbe essere spezzato”.

L’introduzione dello schwa e dell’asterisco comportano delle complicazioni sia dal punto di vista dello scritto, sia del parlato. “L’asterisco, ad esempio, è impossibile da rendere sul piano fonetico: possiamo scrivere car* tutt*, ma parlando, se vogliamo salutare un gruppo formato da maschi e femmine senza usare il maschile inclusivo, dobbiamo rassegnarci a dire ciao a tutti e a tutte. Qualcuno ha proposto espressioni come caru tuttu, che a nostro parere costituiscono una delle inopportune (e inutili) forzature al sistema linguistico di cui si diceva all’inizio”, scrive Paolo D’Achille. Per quanto riguarda lo schwa, introdurlo nella norma sembra ancora più improbabile: prima di tutto, sul piano grafico, il segno per rappresentare lo schwa non è di facilissima realizzazione nella scrittura corsiva a mano e, in secondo luogo, nel parlato, non esistendo nel repertorio dell’italiano standard, non ha senso introdurlo.

La linguista D’Alessandro concorda sulle criticità “tecniche” dell’introduzione dello schwa, del genere neutro e dell’asterisco: “Importare un genere in un angolo della lingua implica importarlo in tutto il sistema. Lo schwa non è parte del sistema, l’italiano ha un sistema binario per tutto. Diciamo è piovuto (maschile di default), si è parlato (maschile di default). Il default dipende dalla frequenza - in inglese iniziare a usare they (tra l’altro già presente nella lingua) non comporta niente al resto della grammatica, perché l’inglese non marca il genere morfologicamente. L’italiano ha una morfologia molto ricca: il genere è espresso per esempio sugli articoli e sui participi. Non solo sugli aggettivi e i nomi”.

Se, come diceva Nanni Moretti, “le parole sono importanti”, la riflessione sull’evoluzione della nostra lingua, in segni grafici e fonemi che rispettino anche le persone non binarie, è lecita. Così come lecito è porsi domande sulla direzione che sta prendendo l’italiano e su nuovi, potenziali orizzonti. Per l’Accademia della Crusca, non si può ridurre il discorso linguistico ad un discorso ideologico: “Non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua – almeno nei suoi usi istituzionali, quelli propri dello standard che si insegna e si apprende a scuola – al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire. L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti”.

Non è la prima volta che il dibattito sullo schwa assume carattere di rilevanza. Michela Murgia, ad esempio, ha fatto da tempo delle “troncature” per questioni di genere il suo cavallo di battaglia, diventandone in qualche modo la paladina. Le questioni sociali solcano in ogni modo la lingua e a preoccuparsene devono essere soprattutto coloro che di lingua si intendono. Nell’edizione 2022 il dizionario Devoto Oli cambierà le definizioni di “uomo” e “donna”. “Il vocabolario - ha detto all’Ansa il linguista Luca Serianni - non è solo una rassegna utile di parole e definizioni particolari o difficili, ma la foto di un certo momento linguistico e quindi in certe fasi riflette il mutato senso di alcuni termini”. Fino alla scorsa edizione questa era la definizione di “donna”: “L’individuo femminile della specie umana: una bella donna; una donna colta, elegante, raffinata; scarpe, abiti da donna; i diritti, l’emancipazione della donna”. Nel nuovo testo è “essere umano adulto di sesso femminile”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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