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Lavori socialmente utili: quali regole per i detenuti

Lavori socialmente utili: quali regole per i detenuti

La disciplina riguardante i lavori socialmente utili per i condannati e gli internati diventa sempre più elastica, diminuendo la distanza fra le attività dei detenuti e quelle di un normale lavoratore. Il lavoro è visto come opportunità di riscatto e come un tassello fondamentale nell’iter rieducativo, l’obiettivo primario è far apprendere al detenuto un mestiere che sia in grado, una volta uscito di prigione, di tenerlo lontano dalla delinquenza.

Il Decreto legge del 1° luglio 2013 concernente  le Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena affronta e modifica questioni riguardanti la possibilità di svolgere attività professionali all’esterno del carcere per i detenuti.

La possibilità di far svolgere lavori di pubblica utilità a soggetti in stato di detenzione, viene estesa anche nel caso di tossicodipendenza. Vengono inoltre introdotte alcune rilevanti modifiche all’ordinamento penitenziario:
1) per i lavori all’esterno detenuti e internati possono prestare la loro attività a titolo gratuito e volontario, in progetti di pubblica utilità in favore della collettività, presso enti pubblici o associazioni di volontariato;
2) la disciplina relativa ai recidivi viene resa più restrittiva;
3) anche la detenzione domiciliare viene profondamente modificata, con la soppressione della possibilità di concedere i domiciliari anche al condannato recidivo per pene non superiori ai tre anni.

Risulta elevato il numero di reati per i quali il giudice può infliggere il lavoro di pubblica utilità nei confronti dei tossicodipendenti.

I detenuti e internati possono prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità presso:
1) Stato, 2) Regioni, 3) Province, 4) enti e organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.

L’impiego ha una durata compresa fra i dieci giorni e i sei mesi e si configura come “prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato”. L’attività viene svolta nella provincia di residenza del condannato e prevede un limite di sei ore settimanali di lavoro da svolgere con modalità e tempi che non interferiscano o pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del detenuto.

Il carattere obbligatorio del lavoro penitenziario tende al recupero della persona, coerentemente con un sistema penitenziario che sia sotto il profilo della dignità individuale che sotto quello della valorizzazione delle attitudini mira al recupero della persona. In tal senso la legge prevede che al condannato venga assicurato un lavoro nella forma ritenuta più idonea, compreso l’esercizio in proprio di attività individuali, artigianali e artistiche.

Sin dalla raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 12 febbraio 1987, il lavoro carcerario ha cercato, progressivamente, di avvicinarsi il più possibile alle normali condizioni del lavoro libero. Accanto alle formule più utilizzate – quelle del lavoro esterno e quelle del domicilio carcerario – per imprenditori pubblici e privati è stata prevista la possibilità di organizzare e gestire le lavorazioni all’interno degli istituti, fino a forme ancora più evolute nelle quali viene superato il divieto dell’assunzione in qualità di socio e il detenuto può entrare a far parte di una cooperativa sociale.