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Libia, candidature Gheddafi, Haftar aggiungono incertezze a caos voto

Saif al-Islam Gheddafi, figli dell'ex leader libico Muammar Gheddafi, durante un'udienza a Zintan

di Angus McDowall

(Reuters) - L'ingresso di due uomini accusati di crimini di guerra nelle elezioni presidenziali in Libia ha intensificato i rischi di un voto finalizzato a porre fine ad anni di disordine politico, e che invece potrebbe innescare un nuovo conflitto.

Saif al-Islam Gheddafi, ricercato a livello internazionale per il suo coinvolgimento nella soppressione della rivoluzione del 2011 che ha portato alla destituzione del padre, ha annunciato domenica la sua candidatura, mentre il comandante Khalifa Haftar, responsabile dell'assedio di Tripoli tra il 2019 e il 2020, ha ufficializzato oggi che sarà della partita.

L'annuncio di Gheddafi ha portato rapidamente a proteste per le strade libiche, rendendo necessaria la chiusura temporanea degli uffici elettorali, oltre a un comunicato da parte del consiglio di un'importante città libica, nel quale è stata chiesta la sua estromissione dalla campagna elettorale. La candidatura di Haftar potrebbe causare simili reazioni e minacce di boicottaggio delle elezioni.

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A meno di sei settimane dall'apertura delle urne, i contrasti su chi dovrebbe guidare il Paese dopo la prima elezione presidenziale diretta nella storia della nazione sembrano destinato a peggiorare.

Anche se il coinvolgimento nelle elezioni di Haftar, Gheddafi e altre figure controverse era previsto, la loro concreta candidatura getta nuova benzina sul fuoco, secondo i timori di alcuni libici.

Le loro candidature mettono a dura prova la possibilità che il piano dei sostenitori delle elezioni - di sottoporre figure d'alto rilievo della Libia a un giudizio nazionale attraverso le elezioni - vada in porto.

"Al popolo è stato chiesto di prendere un rischio, il processo democratico potrebbe sfociare in qualcosa che potrebbero ritenere orripilante... forse è meglio lasciare al popolo la decisione", ha detto un diplomatico.

Coloro che sostengono quest'approccio - tra cui anche alcuni candidati di rilievo - affermano che è l'unico modo per procedere verso una soluzione politica duratura, e che cancellare o rimandare le elezioni avrebbe un risultato ancor più destabilizzante.

Le fazioni orientali hanno annunciato che potrebbero non accettare un governo d'unità oltre il 24 dicembre, data fissata per la votazione, e che potrebbero separarsi nuovamente e formare un governo rivale se le elezioni non avranno luogo.

Tuttavia, i rischi nel procedere senza un accordo chiaro sulle norme alla base del voto, tra cui anche chi ha il diritto di candidarsi e governare, rimangono evidenti.

Il popolo libico ricorda le catastrofiche conseguenze delle ultime elezioni con il sostegno delle forze internazionali, nel 2014, quando il parlamento precedente e diversi potenti gruppi armati hanno respinto il voto, in base a una sentenza giudiziaria.

Queste dispute hanno aggravato la frattura già presente tra le fazioni orientali e occidentali, gettando la Libia in una guerra tra le amministrazioni rivali a Tripoli e Bengasi, conflitto che l'ultimo processo di pace intende risolvere.

FERITE APERTE

Nonostante un anno di tregua dalla ritirata dell'assalto di Haftar a Tripoli - evento che ha portato le due parti ad accettare un governo d'unità e le elezioni - le ferite del conflitto sono ancora aperte.

L'attacco di Haftar contro Tripoli ha lasciato diverse parti della città in macerie e nei sobborghi meridionali sono state disseminate diverse trappole letali che hanno causato la morte di diversi civili. Un gruppo alleato è stato accusato di diversi omicidi nella città vicina di Tarhouna, oltre alla creazione di fosse comuni per i cadaveri. Haftar ha negato ogni addebito.

Gheddafi è ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini di guerra commessi dalle forze di sicurezza statali nel 2011, secondo il Tribunale. Nel 2015, una corte a Tripoli lo ha condannato a morte per gli stessi crimini, con Gheddafi collegato in video. Il figlio di Muammar Gheddafi ha negato a sua volta il coinvolgimento in crimini di guerra.

Gli attivisti si chiedono se qualsiasi tipo di elezione organizzata in aree dove le forze armate sono alleate con uno dei candidati possa essere considerata legittima, anche con la supervisione internazionale, aggiungendo ulteriori interrogativi sul voto.

Intanto, l'unica legge elettorale ora in fase di discussione - emanata in circostanze controverse dal presidente della Camera dei rappresentanti Aguila Saleh, a sua volta candidato - potrebbe escludere un potenziale favorito: il primo ministro della Libia Abdulhamid al-Dbeibeh.

La legge di Saleh afferma che ogni funzionario determinato a candidarsi dovrà allontanarsi dal proprio incarico tre mesi prima delle elezioni, obbligo rispettato da Dbeibeh e da Haftar a fine settembre.

Dbeibeh non si è dimesso e ha definito la legge elettorale di Saleh "difettosa".

La mancanza di norme concordate implica che ogni candidato vincitore potrebbe essere potenzialmente contestato, impedendo nuovamente un cambiamento.

(Tradotto a Danzica da Enrico Sciacovelli, in Redazione a Roma Francesca Piscioneri, enrico.sciacovelli@thomsonreuters.com, +48587696613)