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Marco Frey: "I Fondi prendano coscienza delle conseguenze sociali delle loro decisioni"

GKN (Photo: Ansa/HP)
GKN (Photo: Ansa/HP)

Nell’arco di pochi giorni due aziende italiane hanno chiuso i cancelli lasciando a casa quasi seicento lavoratori. I licenziamenti di massa decisi dalla Giannetti Ruote in Brianza (152 operai) e dalla Gkn a Campi Bisenzio (422 operai) hanno riportato al centro della agenda politica e mediatica la grande questione industriale in un settore attraversato anche piuttosto rapidamente da una transizione tecnologica, quello dell’automotive e di riflesso della sua componentistica. Ma a unire le due imprese, la prima produttrice di cerchi in acciaio per veicoli commerciali, la seconda di semiassi e giunti omocinetici, non è solo il comparto di riferimento quanto piuttosto l’assetto proprietario. Entrambe infatti sono state acquistate non da gruppi industriali ma da fondi di investimento stranieri. Lo storico gruppo Giannetti, che rifornisce marchi come Volvo e Mercedes, oggi fa capo al fondo tedesco Quantum Capital che lo rilevò nel 2018 quando era il terzo produttore di cerchi in Europa. Nello stesso anno Melrose Industries, un fondo di investimento britannico solito per entrare in modo aggressivo nel capitale delle sue società target, rilevò con una scalata ostile la Gkn, incluso lo stabilimento di Campi Bisenzio, mettendo sul piatto 11 miliardi di dollari per prenderne il controllo. Fu la più grande acquisizione ostile del Regno Unito dal 2009 ad allora. A distanza di nemmeno tre anni, quegli investimenti sono stati considerati dalle rispettive proprietà non più sostenibili. La rabbia dei sindacati e dei lavoratori si è presto scagliata contro la gestione finanziaria delle imprese e le loro pratiche speculative importate dal mondo della finanza a quello industriale, inseguendo logiche di breve periodo e massimo rendimento.

“Il tema è complesso e ogni caso va analizzato singolarmente”, dice all’HuffPost Marco Frey, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese alla Scuola Sant’Anna di Pisa. “In generale, i fondi non entrano direttamente nella gestione delle imprese ma si limitano a dare un indirizzo, lasciando fare al management. In che modo questi fondi intervengano poi nella gestione di una impresa non è facilmente codificabile, molto dipende dagli orientamenti di business. Ma è evidente che quando ci sono scelte come i due casi citati, questi fondi contribuiscono in maniera decisiva”. L’obiettivo è solitamente quello di trarre il massimo valore dagli investimenti fatti, in termini di rendimento a corto raggio o perseguendo logiche industriali di periodo più lungo. “Ma come detto dipende dalle strategie dei singoli”.

Prendiamo l’esempio della Gkn: Melrose Industries pone alla base della sua strategia nel settore manifatturiero il motto “Acquistare, valorizzare, vendere”. Nel caso di Campi Bisenzio, chiudere. Ma che l’interesse del fondo britannico non fosse orientato al lungo periodo era comunque chiaro dalle logiche che da sempre ne guidano le mosse: vendere nell’arco dei 3-5 anni successivi all’acquisizione. Quella della Giannetti Ruote non è una storia che si discosta molto: a detta dei sindacati, fin da quando l’ha acquistata, Quantum Capital non ha mai mostrato particolare interesse nello sviluppo e rilancio dell’impresa. I lavoratori per molti mesi hanno chiesto, inascoltati, che la proprietà presentasse un progetto industriale credibile. Nulla di fatto. Lo stesso fondo nel 2020 ha chiuso i cancelli della Slim Fusina Rolling, l’ex Alcoa di Porto Marghera che produce laminati di alluminio per i mercati di tutto il mondo; le sue produzioni finiscono nei settori navale, militare, trasporti e delle lamiere per costruzione. In queste settimane si spera in un rilancio che ponga fine alla procedura concordataria, dopo l’interesse mostrato da alcuni investitori ma ancora non concretizzato.

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“Ci sono molti fondi che operano nel mondo industriale e negli ultimi anni si sta assistendo sempre di più a investimenti orientati alla sostenibilità e all’innovazione”, continua Frey. “Negli Usa, ad esempio, si discute se cambiare il purpose dell’attività d’impresa: non più solo il profitto ma anche l’esigenza e gli interessi degli stakeholders. Per cui non si può generalizzare, non tutti gli investitori inseguono logiche di breve periodo, come nei casi che stiamo vedendo in Italia, che sono chiaramente in controtendenza”. Cosa fare quindi quando i fondi intervengono nella gestione aziendale senza particolari ambizioni industriali e interessi sociali, guidati piuttosto dall’interesse meramente finanziario? “Bisogna vigilare ed evitare che operazioni del genere non siano governate a dovere”. La presenza dei rappresentanti di Melrose al tavolo in Prefettura a Firenze per la Gkn con sindacati, le autorità di governo e locali è un buon segnale, continua Frey: “Se dopo essere stati sollecitati partecipano ai negoziati, è solo un bene, in modo che prendano coscienza del fatto che le loro scelte possono avere delle conseguenze nei contesti sociali in cui operano. Magari poi non si otterranno grandi risultati ma è importante che il dialogo si apra”.

Accanto all’aspetto finanziario, c’è poi quello del mercato di riferimento: “Bisogna capire se questi siano i primi segnali per il comparto italiano dell’auto di un ridimensionamento strutturale. Il mercato italiano è stagnante, quello dell’auto è uno dei settori con più debolezze. Dobbiamo fare i conti con un settore in contrazione e con la concorrenza dell’Est Europa, dove i costi di produzione e del lavoro sono più bassi. A questo bisogna aggiungere i ritardi accumulati negli anni in termini di produttività e di sviluppo di infrastrutture materiali e immateriali. Oggi l’Italia resta comunque uno dei maggiori mercati e tra i primi produttori manifatturieri in Europa. Basti pensare a quanto la componentistica italiana sia fondamentale per l’industria automobilistica tedesca”.

Al di là delle grandi crisi industriali - la più recente quella della Whirlpool di Napoli che ha deciso di chiudere e licenziare 340 lavoratori - resta insomma la capacità attrattiva del Paese, ancora forte in determinati ambiti: “Spesso la presenza in Italia di grandi gruppi stranieri è legata anche alla volontà di essere presente in un mercato grande come il nostro. Il problema è quando i mercati entrano in una fase di contrazione: proprietà straniera, marginalità ridotte e logiche di breve periodo portano a casi come quelli che stiamo vedendo in questi giorni”, prosegue Frey.

Il mercato automobilistico ha registrato nel tempo una “costante contrazione dei volumi e della domanda” che gli operatori del settore considerano avviata verso “un trend ribassista generalizzato” amplificato ulteriormente dall’emergenza sanitaria, ha comunicato l’azienda nella lettera di licenziamento dei 422 dipendenti Gkn, adducendo come giustificazione “un totale disequilibrio tra costo di produzione e valore di vendita”, che si palesa in una “continua decrescita dei prezzi di circa il 3% l’anno”. Il mercato dei semiasse in Italia non sembra più remunerativo, come non pare esserlo quello delle lavatrici: “Lo stabilimento di Napoli è insostenibile”, ha detto la Whirlpool comunicando la sua decisione di chiudere, dopo i tanti impegni assunti con diversi governi nel rilancio del sito campano.

“Molti settori stanno affrontando in questo periodo una transizione anche piuttosto accelerata. In alcuni casi negli anni recenti abbiamo assistito anche a fenomeni di reshoring, cioè il ritorno in Italia di produzioni che precedentemente erano state delocalizzate all’estero. Come governare questi fenomeni però è un tema molto complesso che investe direttamente le scelte di politica industriale di un Paese”, conclude Frey.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.