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Muore un lavoratore, il Pireo si rivolta contro la "Chinese way" di Cosco

Pireo (Photo: Getty/HP)
Pireo (Photo: Getty/HP)

Al Pireo la chiamano “The Chinese way” e ne hanno abbastanza. Dopo una settimana di manifestazioni, i portuali del principale scalo della Grecia hanno organizzato un altro sciopero venerdi per protestare contro le condizioni di lavoro sulle banchine gestite dal colosso statale di Pechino, Cosco. Da giorni le strade della città sono attraversate da cortei dei lavoratori scesi in strada dopo la morte di un lavoratore di 45 anni, ucciso da una gru mentre si trovava sul molo due del terminal container. L’incidente è avvenuto il 25 ottobre e da allora le tensioni all’interno del porto non si sono più placate. Dopo diversi giorni di fermo è stato proclamato un nuovo blocco delle operazioni inizialmente per venerdì e sabato. Nel pomeriggio di venerdì una trentina di navi ha iniziato ad ammucchiarsi nello specchio acqueo intorno al Pireo, in attesa di ricevere il permesso di accedere ai moli.

Dopo la morte del portuale, il Sindacato dei lavoratori del Pireo (Enedep) ha giurato battaglia al colosso cinese pur di prevenire altre vittime e incidenti sulle banchine. E alla fine, in serata, il management della società di Pechino ha ceduto, accogliendo alcune istanze avanzate dalle organizzazioni sindacali che chiedevano, oltre a un’indagine sulle cause e le responsabilità dell’incidente, la creazione di un comitato per la salute e sicurezza sul luogo di lavoro, la fine di turni massacranti di 12 ore di fila e dei doppi turni, cioè due turni completi con solo otto ore di riposo in una singola giornata. Secondo il sindacato dei portuali l’incidente “ha mostrato nel modo più tragico le carenze in tema di sicurezza e salute”. Cosco ha promesso la costituzione di un comitato per la salute dei lavoratori e la fine dei doppi turni. Lo sciopero quindi è stato sospeso, in attesa di vedere se la proprietà manterrà gli impegni presi.

La presenza di Cosco non è di quelle poco ingombranti. L’arrivo dei cinesi al Pireo non è mai stato molto gradito dai lavoratori, ma ora l’incidente pare aver riacceso gli animi. Già all’alba della crisi greca il colosso statale di Pechino mise gli occhi sul porto di Atene, assicurandosi nel 2009 la gestione del terminal cargo tra le proteste degli operatori marittimi e dei cittadini. Ma con l’avvitarsi delle difficoltà finanziarie durante il Governo di Alexis Tsipras e il vasto programma di privatizzazioni imposto da Commissione Europea, Bce e Fmi, la cosiddetta Troika, la società cinese ha preso possesso - caso unico in Europa - dell’intera autorità portuale, rilevandone il 51%. Una presa che ha recentemente rafforzato dopo cinque anni di gestione salendo al 67%, come pattuito nel 2016, col via libera del Parlamento greco - o meglio, coi voti del solo partito di maggioranza Nuova Democrazia del premier Mitsotakis - nonostante la protesta unanime della società civile locale, sia sindacale che imprenditoriale. I patti però sono patti e quelli con un contraente di peso come Cosco non possono essere infranti alla leggera.

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Cosco non è solo la terza compagnia di navigazione al mondo ma il braccio operativo del Governo di Pechino per i suoi progetti di espansionismo infrastrutturale nei porti del Vecchio Continente, considerati obiettivi privilegiati nello sviluppo della Nuova Via della Seta. È di proprietà statale e soggetta alla Sasac, la Commissione speciale per l’amministrazione dei beni di proprietà della repubblica popolare e responsabile delle Soe (state-owned enterprises), le aziende di Stato, per un patrimonio di oltre venti trilioni di dollari. La Sasac risponde direttamente al Consiglio di Stato, il supremo organismo amministrativo ed esecutivo. Tradotto: nessuna decisione rilevante viene presa dal management di Cosco senza il placet dei dirigenti del Partito Comunista Cinese.

La presenza prolungata di Pechino nel porto più strategico della Grecia ha quindi sollevato un acceso dibattito su quali siano stati i reali vantaggi per la popolazione locale. Dal punto di vista dei traffici, nulla da eccepire, l’arrivo di Cosco al Pireo ha sicuramente rappresentato una svolta nella storia dello scalo: se nel 2009 il porto movimentava meno di 700mila Teu (unità di misura per i contenitori da 20 piedi), nel 2020 è arrivato a muoverne 5,4 milioni Teu. Nessun porto europeo ha mai assistito a una crescita così esponenziale dei propri traffici in così poco tempo, di oltre il 600%. Motivo per cui la narrazione fatta dai media cinesi è quella di una strategia sino-greca win win. Ma la domanda resta tuttavia inevasa: quanto del boom commerciale resta sul suolo greco e quanto invece va direttamente nelle casse di Pechino?

Nel 2019, anno prima del Covid, l’Autorità Portuale del Pireo (PPA) ha fatturato 149,2 milioni di euro, l’utile ante imposte ha raggiunto i 47,6 milioni di euro e il risultato netto è stato di 35,4 milioni di euro. Numeri importanti per il terminalista e al tempo stesso authority Cosco, ma ben poca cosa rispetto ai profitti maturati da Cosco come compagnia di navigazione grazie al boom di traffici. Mentre alle autorità greche, nel 2020, la Ppa a gestione cinese ha versato la miseria di 1,3 milioni di euro di canone di concessione, più ottocentomila euro di dividendi. “Quello che Atene riceve dall’Autorità portuale sono noccioline”, dice all’HuffPost Plamen Tonchev, Capo dell’Unità asiatica dell’Istituto di Relazioni Economiche Internazionali (IIER). “Il valore di tutte le merci (soprattutto cinesi) trasbordate attraverso il Pireo, parliamo di miliardi di dollari, è infinitamente superiore al contributo di Cosco allo Stato e all’economia della Grecia. Purtroppo non c’è modo di fornire una stima credibile del valore di questi beni anche perché i cinesi sono incredibilmente riservati su questo punto”.

A fronte delle esigue entrate fiscali nelle casse greche, i cittadini del Pireo hanno visto crescere a dismisura le navi in arrivo e in uscita dai tre terminal portuali, con conseguenze facilmente intuibili sul piano ambientale. Più container che girano vuol dire anche più tir che attraversano la città, e non sono mancati episodi di accesa protesta e blocchi stradali. Non solo: secondo le opposizioni “il subappalto e i rapporti di lavoro precario consentono ai datori di lavoro di ricattare i dipendenti e, con il timore del licenziamento, di imporre condizioni miserabili”.

Non sorride nemmeno il tessuto imprenditoriale greco che, inizialmente entusiasta per l’arrivo della terza compagnia di trasporto marittimo al mondo nel suo cortile, si è dovuto presto ricredere. Le audizioni parlamentari degli stakeholders del Pireo, avvenute prima che Cosco salisse al 67% dell’Autorità Portuale, offrono uno spaccato interessante e complementare di quella che è stata denominata “The Chinese way”. “L’investitore, da cinque anni non ha mosso una pietra nell’area delle riparazioni navali. I soldi di COSCO non sono cascati sul Pireo e se i cinesi devono cambiare anche solo una lampadina, la portano dalla Cina”, ha detto il presidente dell’Associazione della cantieristica navale. “Il comportamento senza controlli di Cosco deve finire”. Non solo: per il presidente dell’Associazione degli armatori panellenici “abbiamo anche assistito a un aumento arbitrario ed eccessivo del 60% dei canoni di ingresso riscossi da Cosco. E non c’è nemmeno traccia di una collaborazione commerciale con i nostri membri, nonostante siamo clienti dell’Autorità portuale”. Per un altro imprenditore delle riparazioni navali “non si è visto alcun vantaggio per l’economia nazionale né locale, finora non abbiamo avuto alcun risultato dall’investimento cinese”. Al Pireo l’industria delle riparazioni navali è storicamente molto importante per l’economia locale, ma i cinesi sembrano intenzionati a tagliarla fuori dai progetti futuri, secondo gli operatori del posto: “I cinesi possono essere molto bravi con i container e meritano i complimenti perché hanno fatto un ottimo lavoro, ma sono entrati nella costruzione navale perché vogliono chiuderla e farci scomparire”, ha detto il presidente del Parco Industriale di Schisto.

Sono dello stesso avviso i sindaci dei Comuni che insistono sul più importante porto europeo del Mediterraneo: secondo il primo cittadino del Pireo “il contratto di concessione del 2016 è stato un pessimo affare per il governo locale”, mentre per l’omologo di Keratsini-Drapetsona, Comune adiacente al Pireo, “prima o poi bisognerà fare i conti e vedere in questi cinque anni cosa è andato allo Stato greco. Questo accordo era per noi un pessimo accordo di concessione fin dall’inizio”. Secondo il sindaco di Perama, città dove c’è una vasta area di riparazioni navali su cui Cosco ha finora investito zero, “ci sono conseguenze negative per le imprese di cantieristica e riparazione, per tutti i settori produttivi legati al porto, ma soprattutto per i dipendenti”. Mentre per il Vice Governatore Regionale del Pireo “dal 2016 la principale richiesta del governo locale è stata quella di ottenere un ritorno sugli investimenti per le comunità locali e la cooperazione con le aziende greche. Dopo cinque anni non ci sono prove tangibili di tutto questo”.

“Sono tante le questioni legate alla presenza di Cosco al Pireo”, prosegue Tonchev. “Ci sono molte denunce per l’inquinamento ambientale e cause legali finite in tribunale. Gli operatori locali, poi, si sono lamentati degli alti canoni di ingresso riscossi da COSCO. Non solo: la società cinese voleva costruire un nuovo cantiere navale a Perama (a ovest del Pireo), ma le imprese locali hanno reagito con veemenza, poiché naturalmente non vogliono avere un capo cinese con standard di lavoro cinesi. L’idea poi è stata abbandonata”, spiega il ricercatore dell’IIER.

L’investimento cinese sembra aver fatto felici solo i cinesi, non i greci. Anche perché il radicamento di Cosco subito dopo la crisi del debito ha spianato la strada ad altre imprese di Stato cinesi. Come ha ricostruito un policy paper della ricercatrice Francesca Ghiretti per il Robert Schuman Centre, nel 2016 la China State Grid Corporation ha acquisito una partecipazione del 24% nella società pubblica greca di elettricità Public Power Corp. Poi la Shenhua Renewables ha rilevato il 75% dei quattro parchi eolici del Gruppo Copelouzos. Nel 2018 la China Energy Investment Corporation ha avviato una cooperazione con lo stesso Gruppo Copelouzos per lo sviluppo di parchi eolici, con l’obiettivo di espandersi in altri paesi europei. Nel novembre del 2019 Cosco ha acquisito il 60% della Pearl, una compagnia ferroviaria con sede nel Pireo e di lì a poco ha rilevato una partecipazione del 15% del Rail Cargo Terminal-Bilk, un terminal ferroviario di Budapest con una capacità annuale da 230mila Teu. Dopo la presa del Pireo, insomma, una decina di imprese del Dragone, gran parte pubbliche, ha deciso di fare shopping ad Atene e dintorni. Sotto il naso di Bruxelles che, da implacabile e austera artefice del destino greco ai tempi della crisi del debito, resta ora a guardare, silente.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.

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