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Nuovi record a Wall Street ma ora c'è il rischio di sell off

David Stockman ex direttore del bilancio durante l’amministrazione Reagan, lancia l’allarme: il mercato azionario, e con esso il rally ormai lungo otto anni e mezzo, stanno correndo un grave rischio sell off dettata dalle incertezze sul piano di riforma fiscale di annunciato recentemente da Donald Trump.

L'allarme

La sua view è perentoria:

”statisticamente, ogni 7-8 anni c’è una correzione. A meno che non siate miliardari, vi conviene uscire dal mercato adesso”

Un mercato che lui stesso non esita a definire un casinò. In realtà non è la prima volta che l’esperto confessa i suoi timori per un crollo sull’equity: a giugno, Stockman ha detto che l’S&P500 sarebbe presto caduto a 1.600 punti, un crollo che, a quel tempo, rappresentava ben il 34%: invece, nei giorni scorsi lo stesso indice ha toccato i 2.500. Tutto questo mentre Wall Street ha chiuso la seduta di venerdì 29 settembre in rialzo con il Dow e S&P 500 che hanno registrato un mese di settembre in rialzo del 2%, con il primo che è all’ottavo trimestre consecutivo con il segno più. Buone notizie anche per il Nasdaq in territorio anch’esso positivo, dell’1%. Guardando invece alla singola seduta di venerdì, il DJ ha chiuso a +0,11%, pari a 22.405, l’S&P 500 è salito dello 0,37%, a quota 2.519 e il Nasdaq ha chiuso in rialzo dello 0,66%, a quota 6.496 punti mentre, per gli indici minori, è da segnalare il Russell 2000 salito dello 0,14%, a quota 1.490.

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Wall Street verso nuovi record

Ma i record registrati in questi mesi dai vari indici non sono assoluta certezza di buona salute e tantomeno di una strada spianata verso nuovi traguardi. Ne è consapevole Morgan Stanley che, alla fine della scorsa settimana, avvertiva proprio sul futuro dell’S&P500 : Mike Wilson, infatti, è convinto che il maggior indice del mercato Usa raggiungerà quota 2.700 punti entro la prima parte del prossimo anno, aiutato da una Fed ancora accomodante e da una situazione economica generalmente favorevole e dopodichè all’orizzonte spunterà l’orso con un calo del 20%. Nel frattempo? In quest’atmosfera d’euforia immotivata è bene ricordarsi che si tratta di una situazione a breve termine e, volendo sfruttare il vento favorevole, si potrebbe tentare di puntare su energetici, finanziari e small cap.

A spaventare però Wilson così come anche Stockman non è solo la politica della Federal Reserve che, negli anni, ha dato vita a numerose strategie di allentamento monetario, strategie che, a causa dello scoppio della crisi, furono necessarie. A lasciare perplessi è l’atteggiamento che la stessa Wall Street sta assumendo di fronte alla riforma fiscale voluta dalla Casa Bianca: un atteggiamento definito da Stockman “delirante” per il solo fatto di credere che il disegno di legge proposto possa avere qualche possibilità di essere approvato. Questo perchè, continua Stockman, il consulente economico della Casa Bianca Gary Cohn e il segretario del Tesoro Steve Mnuchin "hanno evitato di fornire qualsiasi dettaglio, qualsiasi direzione, qualsiasi spiegazione. […] Attualmente il mercato si trova in una bolla creata dalla Fed che viaggia a 24 volte i guadagni GAAP e a 21 volte l'utile operativo” troppo per poter reggere in un panorama caratterizzato anche dalle tante incertezze presenti alla Casa Bianca.

L'ultimo problema della Casa Bianca

L’ultima tegola caduta sul presidente, infatti, risale a un paio di giorni fa ed è rappresentata dalle dimissioni del ministro della Sanità, Tom Price. Questa volta, però, non si tratta del Russiagate, la spada di Damocle che il tycoon si vede pendere sulla testa dal giorno della sua elezione, e nemmeno della mancata abolizione dell'Obamacare, la riforma sanitaria voluta dal predecessore di Trump, Barack Obama e che i Repubblicani non sono riusciti ad eliminare nonostante adesso controllino sia la Casa Bianca che la Corte Suprema ed entrambi rami del Parlamento. A far cadere l'ennesima testa dello staff di Trump è uno scandalo. A quanto pare Price era solito usare, anche quando non vi si presentava la minima necessità, costosi voli di stato per ogni suo spostamento anche solo di qualche centinaio di chilometri. Il tutto, ovviamente,a spese del contribuente. Una presenza doppiamente scomoda per Trump non solo perchè il ministro è un noto milionario che, volendo, avrebbe potuto pagare con i propri soldi tutti i viaggi finora fatti, ma perchè l’atteggiamento parassitario assunto dal suo collaboratore andava palesemente contro uno dei motti della campagna elettorale di Trump: “drain the swamp”, prosciuga la palude, con il quale intendeva radere al suolo il castello di spese pazze e privilegi di una vera e propria casta politica formatasi, nel tempo, all’ombra di Capitol Hill.

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