Annuncio pubblicitario
Italia markets open in 4 hours 44 minutes
  • Dow Jones

    38.085,80
    -375,12 (-0,98%)
     
  • Nasdaq

    15.611,76
    -100,99 (-0,64%)
     
  • Nikkei 225

    37.791,72
    +163,24 (+0,43%)
     
  • EUR/USD

    1,0731
    -0,0002 (-0,02%)
     
  • Bitcoin EUR

    60.130,36
    +286,02 (+0,48%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.390,56
    +7,99 (+0,58%)
     
  • HANG SENG

    17.538,36
    +253,82 (+1,47%)
     
  • S&P 500

    5.048,42
    -23,21 (-0,46%)
     

Partite Iva: le novità della riforma del lavoro

Tra le misure più chiacchierate della Riforma del Lavoro proposta dal Ministro Fornero e attualmente all'esame del Senato, c'è sicuramente quella che regolamenta le Partite IVA e, in particolare, si propone di risolvere l'annosa questione di quelle "false", ovvero quei lavoratori che in tutto e per tutto lavorano come se fossero dipendenti di un'azienda o di uno studio professionale, ma senza essere assunti e quindi senza le tutele che un contratto di lavoro subordinato può offrire. La riforma presentata dal governo prevede che le collaborazioni con Partita IVA vengano assimilate a contratti di lavoro dipendente se si verificano almeno due di queste condizioni: il lavoratore percepisce almeno il 75% del suo reddito dallo stesso datore di lavoro, la collaborazione prosegue per più di 6 mesi, esiste presso la sede dell'azienda con cui collabora una sua postazione fissa, sia essa una scrivania, un recapito telefonico o anche solo un'indirizzo email.
Gli stessi relatori della legge nella Commissione Lavoro di Palazzo Madama, Tiziano Treu (PD) e Maurizio Castro (PDL) ritengono queste norme troppo rigide, con il rischio di andare a colpire anche quei rapporti di lavoro flessibili e regolari che molti professionisti hanno con diverse aziende, soprattutto piccole. Per questo hanno presentato di comune accordo un emendamento che corregge le regole proposte dal ministro, introducendo nuove norme o precisando alcuni passaggi.
Le correzioni al testo prevedono innanzitutto che il rapporto di collaborazione non possa essere assimilato al lavoro subordinato se il lavoratore percepisce un compenso lordo di almeno 18mila euro all'anno o se è un professionista iscritto a un albo professionale. Poi che la collaborazione autonoma risulterà "vera" se "connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività", formulazione, per la verità, un po' vaga e generica, che forse andrebbe specificata un po' meglio, se l'intento è quello di salvaguardare l'autonomia e la flessibilità di professionisti che, ad esempio, svolgono lavoro di consulenza nei più diversi settori, dai servizi, alla moda, al design. Infine, le modifiche proposte vanno ad ammorbidire o precisare i vincoli originariamente contenuti nella riforma: per assimilare la propria collaborazione a un contratto di lavoro subordinato la percentuale di reddito che il lavoratore dovrà percepire da un'unica azienda sale dal 75% all'80%, la durata del contratto di collaborazione si allunga da 6 a 8 mesi e la sua postazione riservata all'interno dell'azienda dev'essere necessariamente "fissa", quindi, ad esempio, una vera e propria scrivania e non semplicemente un'email aziendale, un numero di telefono o un computer portatile.
Il tema comunque è caldo e dibattuto e gli interessi in campo sono molti. Paradigmatico delle diverse posizioni in materia tra datori di lavoro e lavoratori è il botta e risposta tra il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC), da una parte, e il Movimento Amate l'architettura e il Comitato Iva sei partita, dall'altra. Infatti, il presidente del CNAPPC, Leopoldo Freyrie, in una lettera inviata al Governo, ha espresso totale contrarietà al provvedimento, sostenendo, in breve, che in media gli studi di architettura italiani sono piccoli e il lavoro si fonda sulla collaborazione tra titolari e collaboratori. L'obbligo di assunzione previsto dalla riforma, secondo Freyrie, avrebbe come conseguenza una drastica riduzione dei collaboratori stessi, per impossibilità degli studi di sostenere le spese. Gli hanno risposto attraverso un'altra lettera congiunta le due associazioni di precari del settore, ribattendo che ci sono migliaia di giovani professionisti che vengono sfruttati in studi medio-grandi che li obbligano a lavorare come se fossero dipendenti, ma pagandoli con la Partita IVA, senza tutele, con stipendi da fame e riversando sui collaboratori stessi gli oneri sociali. La difficoltà in cui versano molti studi, si legge in una altro passaggio della lettera, si deve piuttosto al fatto che questi accettano appalti con ribassi anche dell'80% che poi vengono scaricati sui giovani sottopagati e tenuti, appunto, a Partita IVA.
Riuscirà la Riforma del Lavoro a risolvere il malcostume italiano delle false Partite IVA e, allo stesso tempo, tutelare maggiormente i veri lavoratori autonomi?