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Il petrolio ha finito la sua corsa?

Le quotazioni del greggio stanno registrando un andamento sospetto che sta facendo temere gli operatori: una stabilizzazione del prezzo che potrebbe essere foriera di ben altri problemi.

La produzione Usa

Alla base di tutto potrebbe esserci quella spada di Damocle rappresentata dall'aumento della produzione Usa, aumento che era da tempo preventivato a causa delle politiche energetiche della nuova amministrazione Trump e che avrebbe potuto diminuire, se non addirittura annullare, i vantaggi offerti dall'accordo stipulato dall'Opec alla fine del 2016. Ma procediamo con ordine

Negli ultimi tre mesi, e cioè in parallelo agli accordi che l'organizzazione dei produttori di petrolio è riuscita a chiudere non solo con i membri interni del gruppo ma anche con i maggiori produttori mondiali della materia prima come Russia e Canada, si è registrato un aumento della produzione di petrolio Usa. Le quotazioni del greggio, rispetto a quanto precedentemente registrato, sono riuscite, sull'onda dell'ottimismo che potrebbe adesso dimostrarsi passeggero, a toccare prima i 50 dollari, superandoli fino a lambire la quota dei 60. Ma il mercato e soprattutto le prospettive sul futuro, non permettono di dare ulteriore spinta al rialzo. Dall'altra parte dell'Oceano, infatti, arrivano i dati sulla produzione a stelle e strisce tornata a sua volta a lambire i 9 milioni di barili. La corsa è stata favorita anche da una redditività che, grazie a sgravi fiscali in arrivo e a ottimizzazione delle tecnologie estrattive, si aggira intorno ai 45 dollari al barile. In altre parole il guadagno per chiunque ritorni a perforare, in considerazione anche dei futuri provvedimenti fiscali, potrebbe partire già da una quotazione anche più bassa del previsto con la conseguenza paradossale che il taglio dell'Opec permetterebbe l'aumento dei prezzi del petrolio, la perdita di quote di mercato ai danni del cartello e la conseguente conquista delle nicchie lasciate scoperte a vantaggio dei produttori statunitensi che, con un rialzo della materia prima, vedrebbero aumentare anche il margine di guadagno. All'incertezza che si respira, si deve aggiungere come zavorra, anche un altro dato, quello delle scorte, arrivate a 508,6 milioni di barili, in aumento del +6,3% quest'anno e del 4,7% sul mese di febbraio 2016. Per questo motivo sembra più probabile che a decidere le sorti, o per lo meno a rendere più chiara la situazione, potrebbe essere l'andamento del dollaro ed un suo possibile rafforzamento.

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Il fronte Opec si spacca di nuovo?

Anche perché sembra ci siano problemi sul fronte Opec: l'impegno preso era quello di un taglio pari a 1,16 milioni di barili al giorno, raggiunto al 90% a gennaio. Il problema, però, come sempre accade nel caso di dati in arrivo da diverse nazioni, sta nella distribuzione degli impegni: le nazioni del Golfo Persico, oltre ad Angola ed Ecuador, sono quelle che hanno dato il taglio più corposo e costante (-560.000 barili al giorno contro i 490.000 decisi) mentre nazioni altre nazioni hanno agite diversamente. Il primo esempio è quello dell'Iraq dove i tagli non sono andati oltre i 110.000 barili su 210.000 richiesti ma il caso più eclatante e solo apparentemente contraddittorio, è quello del Venezuela che su 100mila barili da tagliare non è arrivato nemmeno a 20mila. Il motivo? Semplice: una strategia per fare in modo che i paesi arabi, veri responsabili del crollo delle quotazioni petrolifere (e della crisi sociale ed economica del Venezuela che poteva vantare come unica voce di guadagno proprio il petrolio) pagassero il prezzo di quanto provocato. Anche se per il momento non è dato sapere quanto reggerà una situazione del genere.

Tornando invece all'aumento della produzione USA c'è da segnalare anche un altro elemento: la riapertura degli impianti di estrazione arrivati a 591 unità (+66 dall'inizio dell'anno e +35% su base annua) grazie a quotazioni che rispetto allo stesso periodo del 2016 hanno visto un +70%. Da ricordare, infatti, che proprio intorno al febbraio del 2016 il greggio ha sfiorato i 24 dollari al barile con previsioni di Goldman Sachs (NYSE: GS-PB - notizie) che no escludevano i 20 dollari e, per qualche catastrofista, anche i 5 dollari al barile. Attualmente, invece, il Brent aleggia intorno ai 56,24 dollari e il Wti a 53,49 dollari.

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