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Il petrolio sale, salvato (per adesso) dal Canada

Nella tempesta perfetta che si è scatenata sul petrolio ormai da oltre un anno e mezzo, i motivi che permettono estemporanee risalite sono a loro volta, sempre più estemporanei anch’essi.

L'andamento della materia prima

La dimostrazione arriva dalla cronaca finanziaria: non più tardi di 24 ore fa le borse, soprattutto quelle asiatiche, aprivano in calo anche a causa del colosso australiano Bhp Billiton (NYSE: BBL - notizie) vittima di un crollo del 10% sui mercati, con la situazione del greggio era quella del termometro mondiale di un crescita ormai sempre più palesemente asfittica e che non sembrava avere molte prospettive di crescita. oggi, invece, la situazione è diversa, a dimostrazione della volatilità del comparto e della potenziale isteria di tutto il mercato: oro nero che torna sugli scudi grazie alla carenza di materia prima dettata dal devastante incendio in Canada, per la precisione nella zona della provincia di Alberta. Poco dopo le 10 del mattino i titoli del petrolio arrivavano a toccare un rialzo del 3,4% a 45,26 dollari al barile per il Wti. Una situazione di emergenza, dunque, in un paese che, come il Canada ha sofferto particolarmente della crisi visto che la produzione della nazione si basa su una materia prima di bassa qualità e che per essere commercializzata ha bisogno di ulteriori raffinazioni con aggravio sui costi di produzione e, di conseguenza, sui margini di profitto.

Ma ci sono motivi per dubitare del rialzo?

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Altra notizia particolarmente sensibile per le quotazioni, sono gli sconti in Libia che minacciano le forniture verso l’Europa, forniture che già da tempo sono state intermittenti proprio a causa dello stato di guerra che aleggia sulla nazione.

Intanto, però, dalla parte degli Usa, primo produttore mondiale, le cifre continuano a suggerire una disponibilità alta, se non altro sul fronte delle scorte settimanali arrivate a 2,8 milioni di barili per la settimana terminata il 29 aprile, contro attese che si fermavano a 2 milioni. Un gap non indifferente. Una spiegazione parziale che riesce a coniugare l’atteso calo della produzione derivante dalla chiusura di numerosi impianti di produzione con l’aumento delle scorte è individuabile nella fortissima azione di importazione fatta dagli Usa. I Il motivo? La semplice disponibilità di spazio che gli Usa ancora hanno a differenza della maggior parte delle altre nazioni. Ma tra gli altri fattori da prendere in considerazione c’è anche la produzione Opec: secondo gli ultimi dati ad aprile i paesi dell’organizzazione di esportazione hanno aumentato l’asticella portandola a 170.000 barili al giorno il che ha rotto la quota di 32.64 milioni di barili totali. A questi si aggiungano anche i dati provenienti dalla Russia, nazione anch’essa sul podio dei più grandi produttori mondiali: ad aprile la produzione ha visto 10,84 milioni di barili al giorno, solo di poco inferiore alla cifra record di 10,91 milioni di barili.

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