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Privacy e dati personali, ecco come li usano le app di food delivery

CARDIFF, UNITED KINGDOM - JUNE 16: A Deliveroo rider cycles through Bute Park in Cardiff on June 16, 2019 in Cardiff, United Kingdom. (Photo by Matthew Horwood/Getty Images)
(Photo by Matthew Horwood/Getty Images)

L’Autorità garante per la privacy ha aperto un’istruttoria per il trattamento dei dati personali da parte delle app di food delivery. Il 19 giugno è toccato a Deliveroo, ma anche le concorrenti, come Just eat, Glovo e Uber eats, gestiscono molti dati sensibili dei clienti iscritti.

I dati sensibili

Per iscriversi alle app che portano il cibo a domicilio servono nome, cognome, indirizzo di casa, numero di telefono, email e carta di credito per completare la registrazione e farsi recapitare la cena a casa. Ogni transazione rivela abitudini, gusti e tendenze di consumo dei clienti. In aggiunta ci sono le informazioni dei fattorini, come per esempio i percorsi compiuti per arrivare a destinazione. Si tratta di un bottino ghiotto per altri operatori, ma anche, nel peggiore dei casi, per gruppi criminali informatici.

La registrazione

Per iscriversi ad un’app, occorre fornire un indirizzo mail. Ma solo Uber invia un messaggio di conferma alla casella di posta per verificare che l’utente sia il legittimo proprietario di quell’indirizzo di posta elettronica. Just eat, per esempio, non lo fa per cercare di rendere il processo di iscrizione il più veloce possibile.

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Login sospetti

E se decidiamo di effettuare un ordine da un altro dispositivo che non è quello solito che usiamo? In questi casi, le buone pratiche di sicurezza suggeriscono di mandare un’allerta all’utente per verificare l’identità. Solo Uber eats e Glovo, secondo le verifiche effettuate da Wired, seguono questa procedura. Se qualcuno, insomma, prova a usare il nostro account su un altro dispositivo, non si viene informati del tentativo, con tutti i rischi del caso.

Un po’ troppe licenze

Una app che serve per ordinare cibo a domicilio non dovrebbe avere accesso alla rubrica del telefono. E invece, sempre secondo Wired, le piattaforme si prendono più licenze del dovuto sugli smartphone dei clienti. Tutte queste procedure aprono ipoteticamente la possibilità all’utilizzo dei dati anche per il marketing diretto. Basta un’autorizzazione, infilata tra le tante in fase di sottoscrizione, e cominciano ad arrivare promozioni e sconti. Insieme alla pizza.