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Traffico dei migranti, chi guadagna con un business disumano

In un saggio per Chiarelettere, Musumeci e Di Nicola a confronto con i leader del sistema criminale

Confessioni di un trafficante di uomini (Musumeci-Di Nicola, Chiarelettere, 2014)

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, citato in Confessioni di un trafficante di uomini, il saggio sul mercato dei migranti, di Giampaolo Musumeci e Andrea Di Nicola, edito da Chiarelettere, " il guadagno annuale degli smuggler che portano migranti dall’Africa all’Europa è di 150 milioni di dollari". Un fiume di denaro impressionante che scorre silenzioso, all'ombra delle grandi tragedie del mare: i migranti muoiono, la politica si divide, il dibattito si accende, mentre altri, lontano dalla ribalta, incassano e reinvestono gli esorbitanti quattrini. Ma la rotta Africa-Europa è solo una delle tante in un mercato che, secondo le stime dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, risalenti al 2011, arriva a fatturare più di tre miliardi di dollari. Un sistema criminale che Di Nicola, docente di criminologia all'Università di Trento, e Musumeci, giornalista e videoreporter, hanno affrontato fino ai livelli più alti del sistema, parlando con i responsabili dell'immigrazione, quei trafficanti che, alla stretta decisiva, sfuggono con grande abilità alla morsa della Giustizia. Un mondo fatto di regole, rapporti e gerarchie, molto più sofisticato e interconnesso di quanto si possa immaginare;  gli autori ne parlano a Yahoo!, per rompere anche l'illusione che una sola narrazione sul tema delle migrazioni sia possibile.

Musumeci, nel libro il fenomeno del traffico viene messo in luce come contiguo, liminare al quotidiano; potrebbe "nascondersi" in un chiosco di kebab o nella figura di un'avvocatessa che opera in un tribunale. Perché è difficile pensarlo vicino, dove sono i trafficanti di uomini intorno a noi?

E' una domanda da un milione di dollari, ma il punto è che non abbiamo mai visto il fenomeno in questo modo. Certo, la rete dei trafficanti è estremamente abile nel dissimulare, nel creare nuove strategie ed è refrattaria alle indagini di polizia; lo scafista, magari arrestato accidentalmente, è solo la punta dell'iceberg. Però c'è anche una grossa costruzione errata da parte dei media, dei giornalisti, che si soffermano, giustamente, sulle tragedie del mare, sui migranti, dando però una una grossa mano alla politica nel rendere la questione immigrazione una leva elettorale facilmente sfruttabile. Se si affrontasse il fenomeno nella sua complessità si vedrebbe che Lampedusa è solo una delle porte, ma molti arrivano a Malpensa o Fiumicino con un visto che poi scade. Alimentare la cultura dell'emergenza, parlare solo di Lampedusa, svuotare le storie della singolarità, è un limite, che non aiuta a comprendere.

Secondo dati dell'Osservatorio Balcani e Caucaso, gli ingressi irregolari sul fronte italo-sloveno sono superiori, per numero, a quelli di Lampedusa. Ci siamo appiattiti su una prospettiva meridionale? Quali sono i punti di accesso che stiamo sottovalutando?

Sicuramente, la rotta balcanica si sta riaprendo e non a caso. Non essendoci più una frontiera, dobbiamo andare "a braccio" sui numeri. C'è poi la porta pugliese, molto frequentata dalla rete turca, perché non si possono controllare tutti gli yacht che sbarcano, magari con 40, 50 afghani a bordo; un'altra porta sono gli aeroporti. Il trafficante lavora 24 ore al giorno su questo aspetto; estremizzando, porre l'attenzione su una sola porta fa gioco ai grossi trafficanti. Ci sono poi leggi giuste, fatte con nobili intenti, ma che possono essere aggirate, come ad esempio quelle del decreto flussi per i lavoratori stagionali, utilizzate da chi vuol fare entrare i connazionali.

Le tariffe dei viaggi ci dicono che venire in Italia costa meno. E' il motivo per cui continuano a migrare sulle nostre coste o è una visione riduttiva? L'Italia è ancora un paese attrattivo per i migranti?

E' un discorso complesso; un mediatore pakistano ci ha raccontato che il figlio di un suo amico aveva un laboratorio di analisi cliniche, in Pakistan, ma voleva assolutamente venire in Italia; lui gli consigliava di no, ma l'altro minacciava di suicidarsi. Lo ha fatto arrivare in Italia ma dopo due anni l'ha trovato in un campo a raccogliere pomodori. Eppure, lo aveva avvisato. Ma quando sei in una situazione che non ti piace, vuoi giocarti una chance, emulare l'amico che ce l'ha fatta. La consapevolezza dei migranti è molto variegata, c'è chi non sa dove sia l'Europa, chi pensa che Grecia e Italia confinino; altri sono consapevoli che le cose sono difficili e devono indebitarsi. Per noi occidentali è difficile comprendere.

Nel libro, citando un'operazione della Digos condotta nel Lazio, si racconta di un trafficante che però è entrato in Italia legalmente, godendo di asilo politico. Non è un argomento che presta il fianco a certi dubbi? E' un caso limite?

Molte organizzazioni hanno base etnica, come quella che ha indagato la Digos di Frosinone; è chiaro che, nei momenti in cui un appartenente a quella rete entra, contribuirà ad alimentarla. E' un falso dubbio, perché la percentuale fisiologica di delinquenti è presente in ogni comunità. Certo, è comunque un problema all'interno di un fenomeno complesso, che ha anche tante zone d'ombra.

In Grecia, c'è chi, per la crisi, al confine con la Turchia, aiuta i trafficanti. Lo consente il territorio ma di fondo, a grandi linee, anche in Italia potrebbero verificarsi episodi simili?

Parlando con dei magistrati a Lecce, ho saputo di un autista locale, un salentino, che negli anni '90 era stato avvicinato da chi gestiva il traffico degli albanesi; e si era prestato per il trasporto, li caricava in macchina. Le reti hanno bisogno nei punti sensibili di qualcuno che faccia questo lavoro, perché i migranti non sbarcano sulla spiaggia. La Sacra Corona Unita si accorse del fatto, e gli propose l'affiliazione. In alcuni casi i guadagni sono alti, e i rischi bassi. Se fai il basista, magari prendi 200/ 300 euro a missione e ti dici: "Perché no?". Però, non è un fenomeno su larga scala.


Di Nicola, perché è difficile combattere questa "mafia"? Per motivi morfologici - è più elastica, flessibile- o è una problema di carenza normativa?

Sono entrambe le cose. Quando abbiamo chiesto a uno dei leader, El Douly, chi fosse il più grande trafficante ci ha risposto che lo sono tutti allo stesso modo, perché sono una rete, e quindi la flessibilità permette di ristrutturare all'occorrenza la stessa. L'azione di cooperazione e giustizia è inefficiente, è lenta, nel mentre si aprono nuove rotte, nuovi percorsi e ci si adegua ai cambiamenti di politiche degli Stati. I Paesi hanno poi esigenze diverse: ci sono Paesi d'arrivo, in cui si chiudono le frontiere e che hanno normative che funzionano dal punto di vista penale, e Paesi di transito in cui questo problema non è una priorità, e quindi non puniscono gravemente i reati. C'è bisogno di collaborazione investigativa seria nel campo delle grandi reti criminali.

Ma perché non hanno interesse a collaborare? Forse perché il trafficante di fatto investe nel Paese, in cui magari vive stabilmente, e contribuisce all'economia nazionale?

E' difficile dirlo, è il ragionamento dei Paesi off-shore che vivono sui soldi che arrivano. Ma è diverso:  Egitto, Tunisia, Libia, Turchia, Grecia, sono Paesi molto differenti. Laddove c'è povertà, guerra, i Paesi spingono a partire; se qualcuno se ne va, tanto meglio, magari trova fortuna e manda le rimesse a casa. Gheddafi e la Libia mandavano clandestini a frotte per far pressione sui Paesi di arrivo. Certo, ci sono capitali ingentissimi reinvestiti, pensiamo al turco Küçük che, secondo le nostre fonti, ha comprato centinaia di case, e, sembra, un'azienda farmaceutica. Ma io starei più sulle rimesse, e sulla politica generale, ovvero sul bisogno che una parte della popolazione vada, per ridurre la pressione interna.


Chi sono i colletti bianchi, gli insospettabili, in questo sistema? Citate il caso della moglie di un diplomatico, condannata per riciclaggio.

Ovviamente il criminale lascia intravedere alcune cose, ma certo non ti racconta tutti i passaggi. Alcune problematiche sono intuibili e vedono la corruzione di funzionari di ambasciata, di polizia ma anche legami con imprenditori ed esponenti di partiti. Gli stessi trafficanti hanno un paravento, e sono molto lontani da quello che pensiamo: studiano, parlano tante lingue, conoscono la politica internazionale, e hanno consapevolezza di offrire un servizio. Quindi, non è il caso che i clienti muoiano, bisogna lavorare bene perché la reputazione è tutto.


Questo traffico illegale è paragonato a quello della droga, per dimensioni. Si parla spesso di legalizzare la droga ma certo non si può legalizzare un traffico di essere umani. Quali possono essere le vie per stroncare la connessione tra domanda e offerta?

Uno dei trafficanti dice: "Io sono come Mosè". E' un messaggio forte, evocativo, che rende l'inarrestabilità di questo processo, perché le migrazioni esistono da sempre. Bisogna agire anche con la politica dei piccoli passi, migliorando gli strumenti di cooperazione, ma anche la burocrazia, perché alcune procedure sono lente, rigide. Come sottolineato da Filippo Spiezia, magistrato, e già membro di Eurojust (organo della Ue nel settore della cooperazione giudiziaria), servirebbe una rete di magistrati esperta solo di questo reato. Poi c'è chi sfrutta le falle del sistema, anche laddove si parte da intenzioni buone. Poi le chiusure, come nel caso svizzero, non aiutano: più ci si chiude, più si alimenta il traffico.