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Bce ferma su tassi, vede più nero su ripresa e inflazione

Il gigantesco simbolo dell'euro davanti alla sede della Bce a Francoforte, 7 agosto 2014. REUTERS/Ralph Orlowski (Reuters)

FRANCOFORTE (Reuters) - Continuerà a costare poco più di zero il ricorso ai fondi Bce per gli istituti di credito della zona euro, per cui non accenna affatto a schiarirsi ma al contrario si complica il quadro macro su crescita economica e inflazione. Letto il testo di un comunicato dalla formulazione piuttosto classica Mario Draghi trasmette un messaggio esplicito: per la zona euro i rischi geopolitici sono "indubbiamente" aumentati ed è "evidente", qualora dovessero materializzarsi, ne risulterebbe un rallentamento nella performance economica dei prossimi "due o tre trimestri". "I rischi geopolitici sono aumentati, sono maggiori di quanto fossero qualche mese fa. Tra questi alcuni, come la situazione in Ucraina e in Russia, avranno sulla zona euro un impatto maggiore rispetto ad altre aree del mondo". Con l'effetto domino di sanzioni e contro-sanzioni, la crisi ucraina mette in luce i punti più deboli di una ripresa che resta stentata, fragile e soprattutto "disomogenea". Non solo. Se in un orizzonte di medio e lungo termine le aspettative di inflazione restano "saldamente ancorate e il linea all'obiettivo Bce", in un'ottica di breve termine Francoforte ha rilevato un'inauspicata flessione. Relativi a luglio, i preliminari dati Eurostat mostrano un tasso annuo di 0,4%, nuovo minimo da ottobre 2009. Per parte sua, l'inflazione italiana del mese scorso ha visto un ulteriore raffreddamento al ritmo tendenziale di 0,1%, record negativo da agosto 2009. A un deterioramento nelle aspettative di inflazione - al temuto effetto deflazione - Francoforte rimane pronta a mettere in campo qualsiasi provvedimento anche 'non standard' per arrivare se necessario al 'quantitative easing', con acquisti non unicamente circoscritti a titoli 'asset backed'. Si sofferma poi Draghi sul tema cambio per ribadire che la banca centrale continua a monitorarne con attenzione" gli sviluppi, arrivando tuttavia - un inedito - a parlare di fondamentali coerenti oggi molto più di ieri con un euro debole. Non manca nemmeno un breve ma esaustivo riferimento all'Italia. Indirettamente commentando i disastrosi numeri Istat di ieri sul Pil del secondo trimestre, il presidente Bce mette in relazione al clima di generale incertezza e alla carenza di riforme strutturali il fenomeno che fa da "disincerivo" agli investimenti. Ancora una volta il paragone è con una Germania indiscussa prima della classe. "Occorre fare una distinzione tra i paesi che hanno portato a termine le riforme - è il caso della Germania - e quelli che non hanno fatto ancora nulla o molto poco" spiega. In un'audizione alla Camera sul tema 'spending review, Pier Carlo Padoan avverte che nel redigere la prossima legge di stabilità il governo terrà conto del nuovo quadro di crescita e inflazione inferiore alle attese. Secondo il titolare all'Economia, i benefici di riforme e stimolo agli investimenti messi in campo dall'esecutivo saranno "crescenti e tangibili nella prospettiva del programma dei Millegiorni" che ha un orizzonte fino al maggio 2017. Se i toni del governatore Bce sono particolarmente espliciti e l'orientamento più che mai 'ribassista' nessuna sorpresa invece riserva ai mercati finanziari il verdetto sui tassi, portati soltanto il 5 giugno scorso all'ennesimo minimo storico di 0,15% il rifinanziamento principale con una discesa in negativo dei depositi marginali. Sempre due mesi fa - salvo ulteriori dettagli resi noti a inizio luglio - oltre all'intervento sul costo del denaro Francoforte si è mossa nel campo delle misure cosiddette 'non standard' per introdurre i nuovi strimenti 'Tltro', fondi da mettere a disposizione alle banche a condizione però che queste li trasferiscano al settore privato. La stima di Draghi è che dalle banche della zona euro possa giungere una richiesta di nuovi fondi a quattro anni per un ammontare tra 450 e 850 miliardi di euro. Se per paesi 'periferici' come Italia e Spagna i costi della raccolta non sono mai stati tanto bassi, in assenza di inflazione e di una ripresa economica più significativa - di ieri la certificazione Istat sulla recessione tecnica - prosegue l'accumulo della montagna del debito.