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Spread: quattro mesi di passione…e ora?

Quattro mesi con il respiro in gola tra crisi di Governo, nuovo esecutivo, due manovre finanziarie piene di sacrifici per i cittadini, la sensazione di una salvezza acciuffata per i capelli e poi, ancora, i timori di ricaduta sulla scia delle difficoltà per la Grecia. È lo scenario che l'Italia ha vissuto a cavallo dello spread "impazzito" tra titoli del debito pubblico e tedeschi. Ora che il peggio sembra passato, con il differenziale stabilizzatosi ormai da diversi giorni sotto quota 300, sorge però un dubbio: è stata una vera svolta o si rischia la ricaduta da un momento all'altro? Proviamo a capirne di più in base a quanto è accaduto e potrebbe ancora succedere.

A un passo dal baratro

Dopo un inizio di autunno all'insegna di voci - più o meno smentite - sull'aggravarsi della crisi greca, la situazione si rivela davvero preoccupante all'inizio di novembre, quando diversi analisti sollevano dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Il 7 novembre lo spread tra Btp e Bund a 10 anni supera i 490 e si rincorrono voci sulle possibili dimissioni di Silvio Berlusconi da premier. Il Cavaliere smentisce di voler mollare e il 9 novembre mattina, per la prima volta, viene infranta la soglia dei 500 punti. La folle corsa prosegue nel pomeriggio fino al record storico di 574 punti, che in soldoni significa per lo Stato indebitarsi a un tasso più elevato del 5,74% rispetto a quanto faccia la Germania. Quindi un indebitamento che cresce, la difficoltà per le banche ad accedere ai prestiti, con ricadute immediate sui finanziamenti alle imprese e alle famiglie.

Il nuovo corso politico

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Dopo una serie di riunioni ai più alti livelli istituzionali, l'11 novembre si fanno più concrete le voci di dimissioni da parte di Berlusconi e lo spread cala a 460 punti, per poi risalire in serata. Sabato 12 dicembre il premier rimette il mandato e il presidente della Repubblica all'indomani affida a Mario Monti un incarico esplorativo. Ma il differenziale tra Italia e Germania non cala, restando pericolosamente intorno ai 500 punti, per poi salire ancora nei giorni successivi.

Con la manovra inizia il calo

Sono giorni frenetici, fatti di voci e successive smentite di manovre in arrivo, con l'indice che prosegue sulle montagne russe. Il 30 novembre, però, le principali banche centrali del mondo intervengono per inondare i mercati di liquidità e lo spread scende fino a 474, un trend che prosegue per tutta la prima settimana di dicembre quando si ha cognizione della manovra economica italiana, da 30 miliardi di euro, tra tagli pubblici e nuove tasse, che portano il salasso delle tre manovre varate nel 2011 a quota 70 miliardi. Si arriva a sfondare al ribasso quota 400, ma nelle ultime settimane del 2011 l'indice torna a salire di pari passo con l'aggravamento della situazione greca e il deteriorarsi dei conti pubblici in altri Paesi europei, come Francia e Spagna. L'ok definitivo del Parlamento alla manovra-Monti non placa i mercati: il 23 dicembre lo spread raggiunge i 515 punti, mentre sui titoli a breve-medio termine la situazione resta sotto controllo.

La competizione con la Spagna

Gennaio prosegue tra alti e bassi, ma senza grandi scossoni, con l'Italia che resta l'osservato speciale (basti pensare che la Spagna si finanzia a un costo inferiore di 88 punti). A febbraio riprende la discesa, che si rivela però incidentata. Bisognerà attendere il 1° marzo per vedere l'indice a quota 310, poi a 307 il giorno successivo, accompagnato dal sorpasso nei confronti del Bonos spagnolo (non accadeva da agosto).

Un Paese tutto sommato solido

Si arriva così agli ultimi giorni: il via libera politico dell'Europa al salvataggio della Grecia porta lo spread sotto quota 300. Un livello comunque più elevato di un terzo rispetto a quanto siamo stati abituati a vedere negli anni scorsi, ma tutto sommato sostenibile.

A questo punto, lo sguardo si proietta sul futuro: pericolo scampato o rischio ricaduta? La tesi prevalente è orientata a un moderato ottimismo: smentendo le cassandre, l'Italia si è mostrata un Paese solido e capace di uno scatto di rene proprio nel momento in cui appariva a un passo dal baratro.

E ora?

Nonostante tutte le manovre di quest'ultimo anno, però, la mole di debito pubblico resta inchiodata intorno al 120% del pil, anche a causa della ricaduta in recessione che significa meno ricchezza prodotta, meno lavoro e meno tasse versate. Considerato che la sfiducia dei mercati verso l'Italia nasceva proprio da quell'indicatore, non possiamo dire di essere salvi. Nuove tensioni internazionali potrebbero in futuro riportare i mercati a guardare con preoccupazione a quel dato. Che fare allora? L'Esecutivo sta lavorando su tre piani: un'intensificazione dei controlli per contrastare l'evasione fiscale (che incide per il 18% sul pil); un progetto per cedere migliaia di immobili pubblici; una riforma del lavoro che aiuti ad attrarre investimenti dall'estero. Ci vorrebbero risultati importanti su tutti questi fronti per mettere davvero al sicuro i conti.