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Disoccupazione giovanile mai così alta in Italia ed estinzione dei lavori artigiani

Disoccupazione giovanile mai così alta in Italia sia dall'inizio delle serie storiche mensili (gennaio del 2004) sia di quelle trimestrali (quarto trimestre del 1992). 36,2% questo il dato diffuso dall'ISTAT e relativo ai giovani in cerca di lavoro tra i 15 e i 24 anni (quindi non gli studenti) nel mese di maggio 2012. 0,9% in più rispetto ad aprile. Un dato impressionante che rende l'idea di quanto il mercato del lavoro nel nostro paese continui sempre più a invecchiare chiudendo le prospettive ai più giovani. D'altronde siamo anche quello con l'età pensionabile più alta in Europa e sicuramente questo non favorisce il ricambio generazionale, soprattutto in una fase di recessione come quella che stiamo vivendo, in cui i posti di lavoro tendono a diminuire sempre di più, in un vero e proprio circolo vizioso che la classe dirigente non sembra attualmente in grado di spezzare.
In lieve calo invece il tasso di disoccupazione per quanto riguarda l'intera popolazione attiva italiana, che scende, si fa per dire, per la prima volta dal febbraio 2011. Stiamo parlando di una diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto ad aprile, per un dato del 10,1%, quindi la variazione è per ora quasi esclusivamente statistica e la situazione reale appare sostanzialmente stazionaria. Non va meglio in Europa, dove il tasso generale è salito all'11,1%, con percentuali che vanno dai minimi di Austria (4,1%), Olanda (5,1%), Lussemburgo (5,4%) e Germania (5,6%), ai massimi di Spagna (24,6%) e Grecia (21,9% a marzo 2012). 22,6% è invece il dato della disoccupazione per i giovani sotto i 25 anni nell'area Euro e 22,7% nell'intera Unione Europea.
E la comunicazione di questi dati si accompagna al rilevamento di un paradosso da parte della CGIA di Mestre, che prevede, se dovessero continuare i trend attuali, la scomparsa di 385.000 posti di lavoro ad alta intensità manuale, nell'artigianato e nell'agricoltura, nei prossimi 10 anni. Molte professioni artigiane rischiano infatti di scomparire, dice Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre, perché non più redditizie o perché non hanno più mercato. "Oberati da tasse e da una burocrazia sempre più asfissiante - spiega Bertolussi - molte imprese chiudono i battenti, lasciando dei vuoti culturali che rischiamo di non riuscire più a colmare, nonostante la crisi abbia avvicinato molti giovani a queste attività". Ecco che quindi rischiano di non avere un futuro professioni come pellettieri, valigiai, borsettieri, falegnami, impagliatori, muratori, carpentieri, lattonieri, carrozzieri, meccanici auto, saldatori, armaioli, riparatori di orologi, odontotecnici, tipografi, stampatori offset, rilegatori, riparatori radio e Tv, elettricisti, elettromeccanici, addetti alla tessitura e alla maglieria, sarti, materassai, tappezzieri, dipintori, stuccatori, ponteggiatori, parchettisti e posatori di pavimenti. E nell'agricoltura tenderanno a sparire gli allevatori di bestiame nel settore zootecnico e i braccianti agricoli.
Un paradosso che rende ancor più evidente la necessità per l'Italia, a livello sia statale che locale, di una seria programmazione economica, che individui dei settori strategici e preveda degli obiettivi generali di sviluppo e un piano credibile per il loro raggiungimento, permettendo di investire e creare ricchezza e posti di lavoro.