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Draghi accantona un tesoretto per la crescita: 18 miliardi l'anno

Italian Prime Minister Mario Draghi during inauguration ceremony of Parco della Memoria in LAquila, Italy, on September 28, 2021. The new monument is made in honor of 309 victims of April 6th, 2009, earthquake in LAquila. (Photo by Lorenzo Di Cola/NurPhoto via Getty Images) (Photo: NurPhoto via Getty Images)
Italian Prime Minister Mario Draghi during inauguration ceremony of Parco della Memoria in LAquila, Italy, on September 28, 2021. The new monument is made in honor of 309 victims of April 6th, 2009, earthquake in LAquila. (Photo by Lorenzo Di Cola/NurPhoto via Getty Images) (Photo: NurPhoto via Getty Images)

Quando Mario Draghi apre la riunione della cabina di regia a palazzo Chigi, i partecipanti si ritrovano senza fogli in mano. Non è la prima volta che accade, ma questa volta si parla della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, in pratica le nuove stime sui conti pubblici che daranno forma alla legge di bilancio. Insomma i numeri sono la sostanza. Negli ultimi anni, con l’eccezione della parentesi del Covid, sono serviti a tutti governi per autocelebrare uno zero virgola in più del Pil. Se invece quest’anno il premier può illustrare le cifre a voce, senza tra l’altro elencarle tutte, è perché a contare è una direzione differente, di lungo periodo, che scavalla il bivio del suo destino, quello tra palazzo Chigi e il Quirinale. La direzione: il Pil che corre più veloce del previsto porterà a un contenimento del deficit, oltre che del debito, ma una parte del surplus sarà tenuto da parte per la crescita. Un tesoretto da 18 miliardi all’anno, che potrà essere speso dal 2022 al 2024 sotto forma di nuovi interventi per spingere la crescita.

I giochi per quest’anno sono fatti. La crescita sarà più sostenuta di quanto immaginato ad aprile, con un Pil che nella Nadef sarà collocato al 6%, 1,5 punti percentuali in più rispetto al 4,5% stimato cinque mesi fa. Il deficit passerà dall′11,8% al 9,5%, mentre il debito si collocherà sotto l’ultima stima (159,8%). Questi numeri dicono che la pressione sui conti pubblici sarà meno forte rispetto a quanto temuto grazie a una crescita più forte. A giovarne sarà l’indebitamento, riportato a un valore che non sarà più a due cifre. E qui Draghi tira una riga per dire che siamo nell’anno del rimbalzo tecnico dopo il crollo del Pil dell’anno scorso. Le cose vanno meglio del previsto, ma non sono i fuochi d’artificio dopo il grande buio a fare la differenza. Non per il premier, che ha raccolto la missione di palazzo Chigi non solo per tirare il Paese fuori dalle secche della crisi pandemica, ma anche per instradarlo su un sentiero di crescita che ha smarrito negli ultimi anni. Insomma una cosa è una congiuntura positiva, un’altra è un quadro strutturale, che va ricostruito per non dire costruito.

Qui i numeri lasciano spazio alle questioni che sottendono alle debolezze pre-Covid, quelle della produttività che non ingrana con un tasso di crescita inferiore di quasi quattro volte rispetto alla media europea, ma anche di un tasso di occupazione che due anni fa, prima del virus, era fermo al 58%, più di dieci punti sotto i livelli Ue, e di investimenti, pubblici e privati, che sul Pil pesavano per il 18% quando invece l’Europa viaggiava a una media del 22 per cento. È qui che si colloca la sfida di Draghi. Il premier sa che una crescita stabile e duratura - obiettivo che è tornato a mettere in evidenza qualche giorno fa all’assemblea di Confindustria - si costruisce con una spinta quantitativa, ma anche qualitativa. La riduzione del deficit nei prossimi tre anni sarà meno gravosa di quanto previsto, assorbirà meno risorse e quindi i soldi in più potranno essere spesi proprio per stimolare la crescita. La destinazione non è stata ancora decisa, ma sarà determinante non dissipare il tesoretto. Un esito non scontato se si guarda a quest’anno, con un menù della manovra già prenotato dagli appetiti dei partiti, oltre che dalle riforme che ha in mente palazzo Chigi. Dentro ci sono l’anticipo della delega fiscale con il taglio del cuneo, lo stop all’Irap, la riforma degli ammortizzatori sociali, la proroga del superbonus al 2023, ma anche i soldi per le pensioni e per la sanità. Subito, cioè mercoledì, sul tavolo del Consiglio dei ministri arriverà non solo la Nadef, ma anche un decreto con alcune misure fiscali: dentro sono attesi la norma per consentire il pagamento degli stipendi dei lavoratori in quarantena e i nuovi fondi per rifinanziare la cassa integrazione d’emergenza fino a fine anno, oltre a un nuovo intervento sulle cartelle fiscali. Anche qui menù ricco, con l’ipotesi di un decreto collegato sul salario minimo.

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Ma l’elemento cruciale è quello del tesoretto dei prossimi tre anni. Non è poco se si considera che ci sono anche i miliardi del Recovery, anch’essi legati a una spesa che deve correre e allo stesso tempo essere oculata, con un effetto sul Pil che non sarà mostruoso, ma comunque importante. Anche qui la dimensione qualitativa vale almeno quanto quella dell’effetto grezzo del rimbalzo sul prodotto interno lordo. Tra l’altro il Recovery è una parentesi e questa è un’altra convinzione che anima i ragionamenti che si fanno a palazzo Chigi come al Tesoro. Il salto è doppio se il punto di partenza è quello del Pil anemico, con l’aggravante del soffocamento provocato dalla pandemia. Ambizioso, ma necessario. Più importante del rituale dei fogli di carta che guardavano all’oggi.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.