Malesia, i nuovi schiavi del settore dell’elettronica
Sono fra 110mila e 120mila i lavoratori che, in Malesia, operano nel settore dell’elettronica in condizioni di schiavitù. Si tratta di una cifra che rappresenta un terzo degli impiegati complessivi nel settore. A denunciare le pessime condizioni lavorative degli operai malesi è l’ong americana Verité che ha condotto un'approfondita indagine intervistando 501 lavoratori di una filiera che in Malesia movimenta un giro d’affari annuo di 75 miliardi di dollari, dando lavoro a 350mila persone.
L’elettronica rappresenta uno dei pilastri dell’export malese e molte grandi imprese europee e asiatiche, come Samsung Electronics, Advanced Micro Devices, Intel e Bosch Ltd hanno aperto filiali in Malesia per sfruttare le condizioni favorevoli di un basso costo del lavoro e di una manodopera sempre più qualificata e affidabile. Inoltre, molti dei grandi brand dell’elettronica si affidano a fornitori come Flextronics, Venture Corporation, Jabil Circuit e JCY International per realizzare a basso costo i componenti di computer, stampanti, smartphone e tablet. Una filiera che, attualmente, rappresenta un terzo dell’export complessivo della Malesia.
All’evoluzione tecnologica e industriale di questa nazione di 28 milioni di abitanti, non è corrisposta un’adeguata evoluzione delle condizioni di lavoro. Dalle interviste di Verité è emerso che il 28% degli impiegati opera in condizioni di “lavoro forzato”. Molto spesso i lavoratori si trovano costretti a rimborsare gli intermediari che hanno trovato loro un impiego. La cifra sale al 32% fra i lavoratori stranieri che provengono da paesi come Nepal, Birmania, India, Vietnam, Bangladesh e Indonesia. Alcuni degli intervistati hanno dichiarato di avere pagato 2985 ringgit (circa 925 dollari) agli intermediari che li hanno fatti arrivare in Malesia trovando loro un lavoro.
Il 73% degli intervistati presentano “alcune caratteristiche” del lavoro forzato. Una piaga sempre più diffusa che diventa pressoché sistematica fra i lavoratori immigrati che – secondo le ultime stime – sarebbero ormai fra i 2 e i 4 milioni.