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Piazza Bella Ciao

La piazza di San Giovanni a Roma durante il discorso di Maurizio Landini, leader della Cgil (Photo: Antonio Masiello via Getty Images)
La piazza di San Giovanni a Roma durante il discorso di Maurizio Landini, leader della Cgil (Photo: Antonio Masiello via Getty Images)

Piazza stracolma, fino ai famosi “archi” di San Giovanni, come non se vedevano da tempo. Che colpo d’occhio la distesa di palloncini non solo rossi, ma anche verdi e blu: “Guarda l’età media, ci sono parecchi giovani”, fa notare il vecchio militante dell’organizzazione, o meglio del servizio d’ordine che funziona proprio come una volta. E a un certo punto tiene d’occhio, collegato col walkie talkie, sei ragazzotti pelati e molto tatuati, che evocano altre piazze, non si sa mai. È tutto tranquillo, pacifico, e questo qualcosa vuol dire, in questa settimana di apprensioni e di passioni, assalti consumati e scontri temuti: “È la risposta che mi aspettavo, secondo norma e abitudine”, dice serafico Sergio Cofferati, il Cinese, l’uomo del milione al Circo Massimo.

Piazza “antifascista”, bella ciao e andiamo, dal sapore antico, “noi con i fascisti abbiamo finito di parlare il 25 aprile”, è scritto sullo striscione. Che boato quando Maurizio Landini richiama la “Costituzione nata dalla Resistenza e dalla sconfitta del fascismo” e chiede lo “scioglimento di tutte le forze che si richiamano al fascismo e poche chiacchere”. Pullman e cappellini, accenti dall’Italia profonda, tanti ricordi “io ero qui con Berlinguer, è la piazza della sinistra”, eccetera. Piazza preoccupata, più che rabbiosa “perché quel che è successo è grave, si comincia sempre con l’attacco alla Cgil, è un attacco alla democrazia”. E qualcuno che, a comizio dei sindacati iniziato (parlano solo loro, nessun politico sul palco), è ancora bloccato alla stazione di Anagnina.

(Photo: Antonio Masiello via Getty Images)
(Photo: Antonio Masiello via Getty Images)

È un “popolo”, concetto politico mica sociologico, reattivo sui valori e con le idee chiare sulla posta in gioco: l’antico nesso tra questione sociale e democrazia. “Peccato che non c’è la destra”, ragiona a voce alta Pier Luigi Bersani, con l’aria di chi si sente a casa. Perché luogo e simbolo, memoria e ricerca dell’identità perduta, San Giovanni è anche un questo, il ritratto di famiglia in un esterno ritrovato. La piazza dove la rabbia montante risuonò coi “vaffa” di Beppe Grillo e, da allora, un po’ tutti hanno avuto il timore di osare, ripiegando sul salotto di Piazza del Popolo, in piena ztl: “È una prova di forza vinta – dice Giuseppe Provenzano – di un popolo non corporativo, portatore di un interesse generale. Il tema è l’interpretazione politica di questo popolo”. E, come si suol dire, hai detto niente. Poco più in là Stefano Fassina fa un po’ la stessa analisi: “Oltre che reattivi ora dovremmo essere pro-attivi su un’idea di società, perché il fascismo si combatte col lavoro”.

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E continuiamo a camminare con Bersani, che dopo mezz’ora è riuscito a fare tre metri, tra abbracci e strette di mano. C’è Letta, Speranza, Orlando, Gualtieri, insomma tutti: “Poteva essere un’occasione per tutti, anche per la destra. Negli anni bui era il sindacato che toglieva dall’imbarazzo delle proprie bandiere. E c’erano anche i liberali, i conservatori, la destra che si riconosceva nei valori costituzionali. Se non ora li aspettiamo il prossimo 25 aprile”.

Ecco, parla Landini, in anticipo sulla scaletta, perché alle 18,00 c’è Lazio-Inter e conviene evitare intasamenti e incroci di folle, a proposito di sicurezza, altro dettaglio che racconta di un’attenzione molto scrupolosa. È un discorso attento, intelligente, in questo clima. La prima parte sui valori, l’antifascismo e la Costituzione, come testo fondamentale di una religione laica e come programma da attuare. La seconda, rivolta al governo, sui capitoli della questione sociale, a nome di tutti i sindacati. Senza spigoli e polemiche politiche, e guardate che non c’entra il silenzio elettorale, regola ormai da paleozoico nella democrazia dei social. È proprio l’approccio diverso, volutamente inclusivo perché “siamo qui per difendere la libertà, non è una piazza di parte”. Lo fa notare Elio Vito, unico parlamentare di centrodestra presente: “Ma che c’entra il silenzio elettorale? Qui il centrodestra dovrebbe esserci, ministri e leader di partito, perché l’antifascismo è un valore comune dentro cui poi ci sono le differenze politiche, tra destra e sinistra. Che errore…”.

Ci sono però i Cinque stelle, ed è uno spettacolo questo retropalco. Ecco una fila di auto blu, suv e scorta imponente: “Ma chi è, Draghi? – si chiede perplesso Achille Passoni, l’uomo macchina del Circo Massimo – Una cosa così giusto lui ce l’ha”. Dalla selva di telecamere si scorge la sagoma di Luigi Di Maio, che si posiziona con Bonafede e un gruppo di parlamentari lontano da Conte, neanche si avvicinano: “C’hanno più fotografi che voti”, sussurra maligno Luciano Nobili, ma lasciamo perdere. Il retropalco è un po’ un formicaio impazzito, con i suoi personaggi da “fratelli coltelli” e le loro contraddizioni, che cerca di acchiappare una piazza che stupisce anche loro: “Certo che non è male vedere battere le mani a Landini tutti quelli che hanno abolito l’articolo 18”, riflette, con un po’ di perfidia pure lei, Barbara Pollastrini. Se ci infiliamo in questo ginepraio non ne veniamo più fuori.

C’ha ragione, e mica poco, Nichi Vendola: “La sintesi è che la piazza c’è, la questione sociale è squadernata, ma senza una traduzione politica diventa retorica sociale”. Vale un’editoriale di giornata. Ma fermiamoci alla parte piena del bicchiere. Una settimana fa eravamo qui a raccontare Castellino su un palco e l’attacco alla sede della Cgil, poi la grande paura di un paese bloccato dalle proteste. E invece abbiamo raccontato di un paese che ha tenuto, nel venerdì nero che nero non è stato. E di una bella piazza. Va bene così, una giornata di sole.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.