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Un po' di garantismo nella comunicazione dei pm: parla il capo (e solo se necessario)

Marta Cartabia Ministro della Giustizia (Photo: FABIO FRUSTACIANSA)
Marta Cartabia Ministro della Giustizia (Photo: FABIO FRUSTACIANSA)

Poche conferenze stampa, solo per casi che riguardano direttamente l’interesse pubblico e a parlare dovrà essere solo il procuratore capo. Si concentra in sostanza su questi tre principi il decreto legislativo sulla presunzione di innocenza che è arrivato oggi in consiglio dei ministri. Il testo, preparato dal ministero della Giustizia, è la naturale conseguenza del recepimento della direttiva Ue sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

L’atto risale al 2016, l’Italia ci ha messo 5 anni a inserirla nel suo ordinamento. Siccome il recepimento è arrivato fuori tempo massimo - l’Ue aveva dato agli stati membri tempo fino al primo aprile 2018 per adeguarsi alle indicazioni - il decreto andava fatto nel giro di tre messi. Il provvedimento, che dovrà passare al vaglio delle commissioni competenti di Camera e Senato che potranno eventualmente porre correttivi, arriva pochi giorni dopo il via libera della Camera alla riforma della giustizia penale. E va a ridisegnare la comunicazione giudiziaria per come l’abbiamo conosciuta finora. Fino a che punto dipenderà molto da come sarà interpretata l’espressione “interesse pubblico”.

La direttiva europea dà un’indicazione in questo senso: il provvedimento spiega che le informazioni ai cittadini vanno date “qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato, o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un’altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico. Il ricorso a tali ragioni dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò sia ragionevole e proporzionato, tenendo conto di tutti gli interessi”. L’atto preparato da via Arenula va sostanzialmente in questo senso e pone una stretta sulla comunicazione delle procure.

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Negli anni siamo stati abituati a vedere plateali conferenze stampa, condotte dai magistrati o dalle forze dell’ordine, ogni volta che ritenevano l’operazione avesse una portata tale da dover essere raccontata immediatamente alla stampa. Da ora in poi tutto ciò non sarà vietato a priori - come avrebbe voluto il deputato Enrico Costa che aveva presentato un emendamento in questo senso - anche perché ne andrebbe del diritto all’informazione dei cittadini. Ma dei limiti saranno imposti: “La diffusione di informazioni sui procedimenti penali - si legge nella bozza del decreto - è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. E a parlare non potrà essere il sostituto che ha condotto le indagini, ma solo il procuratore capo. Il quale, peraltro, è già per legge l’unico titolato ad avere rapporti con la stampa. Quella stessa legge, in vigore dal 2006, prevede che possa gestire questi rapporti “tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato” ma impone anche il divieto ai singoli magistrati di rilasciare di loro iniziativa informazioni sull’ “attività giudiziaria dell’ufficio”. Inutile evidenziare che, al di fuori delle informazioni ufficiali, nella prassi spesso ciò non accade, ma è altrettanto difficile immaginare che con questa stretta si interromperanno tout-court i rapporti informali tra stampa e pm. Alla regola prevista nel decreto c’è però un’eccezione: il procuratore capo potrà autorizzare la polizia giudiziaria a dare informazioni sui procedimenti in corso, fermi restando necessità e interesse pubblico.

Certamente la stretta sulla comunicazione è un segnale importante, che va tutto nel senso del garantismo che impronta l’attività della ministra Marta Cartabia. Bisognerà vedere quali saranno le conseguenze del provvedimento e come cambierà la prassi.

Il decreto, sempre sulla scia delle indicazioni Ue, vieta poi alle “autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato” fino a sentenza irrevocabile. È la sottolineatura di uno dei principi cardine della nostra Costituzione: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Principio spesso disatteso nella narrazione di alcune vicende di cronaca giudiziaria e che l’Ue, evidentemente, riteneva di dover ribadire. La domanda sorge spontanea: e se queste regole vengono disattese? Il diretto interessato potrà fare qualcosa. “Ferma l’applicazione delle eventuali sanzioni penali e disciplinari, nonché l’obbligo di risarcimento del danno, l’interessato ha diritto di richiedere all’autorità pubblica la rettifica della dichiarazione resa”, è la disposizione. Se la richiesta è fondata, si procede non oltre quarantotto ore alla rettifica, rendendola pubblica “con le medesime modalità della dichiarazione oppure con modalità idonee a garantire il medesimo rilievo e grado di diffusione”.

Segue sempre la stessa logica l’introduzione di un nuovo articolo del codice di procedura penale, il 115 bis, che riguarda i provvedimenti giudiziari. Negli atti diversi da quelli che esprimono “decisioni di merito”, l’indagato o l’imputato “non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili. Tale disposizione non si applica agli atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta ad indagini dell’imputato”. Se questa regola non viene rispettata, il diretto interessato potrà chiedere la correzione del provvedimento, entro dieci giorni.

Nella bozza si legge ancora: “Nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza, l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richiesta dalla legge per l’adozione del provvedimento”. La norma limita anche la possibilità per i pm di pubblicare singoli atti o parti di essi ai soli casi in cui sia “strettamente” necessario.

Come è accaduto per la riforma del processo penale, c’è chi plaude e chi esprime perplessità. “Si tratta di norme che l’Europa ci chiedeva di inserire da cinque anni e, adesso, grazie alla sensibilità della ministra Cartabia e del governo Draghi per i diritti fondamentali dell’individuo, ritroveremo nel codice di rito. Anche in questo caso, come per la riforma, plaudo a questa prima tessera di un mosaico che occorre completare per l’applicazione in concreto della presunzione di innocenza, affinché i processi penali tornino a essere celebrati solo nei tribunali e si scongiuri la gogna mediatica nei confronti di cittadini non ancora giudicati”, sostiene Catello Vitiello di Italia Viva, che però ritiene che bisogna prendere ancora altri provvedimenti a tutela degli indagati e degli imputati. Riserve, invece, sono state espresse dal presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia che - intervistato da Repubblica - ha sottolineato che eliminare del tutto le conferenze stampa significherebbe fare un danno al diritto d’informazione.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.