Zona Euro, inflazione in calo a dicembre, ma poca tregua per Bce
FRANCOFORTE (Reuters) - L'inflazione della zona euro è diminuita più del previsto il mese scorso, ma le pressioni sui prezzi sottostanti sono aumentate, facendo supporre che la Banca centrale europea continuerà ad aumentare i tassi di interesse per i mesi a venire.
I prezzi al consumo nella zona euro, comprendente 20 Paesi da quando la Croazia è entrata a farne parte l'1 gennaio, sono rallentati al 9,2% a dicembre dal 10,1% del mese precedente, al di sotto della previsione del 9,7% di un sondaggio Reuters, in base ai dati Eurostat pubblicati oggi.
Ma questa notizia apparentemente positiva ha mascherato una tendenza avversa poiché gran parte del calo è dovuto ai prezzi dell'energia più bassi, mentre tutti i componenti chiave dell'inflazione 'core' hanno accelerato.
L'inflazione core, che esclude i prezzi volatili dei prodotti alimentari e dell'energia è salita al 6,9% dal 6,6%, mentre un indicatore ancora più ristretto che esclude anche i prezzi di alcol e tabacco ha mostrato un incremento dell'inflazione al 5,2% dal 5%.
L'inflazione dei servizi e dei beni industriali non energetici, entrambi osservati attentamente dalla Bce per valutare la durata della crescita dei prezzi, ha accelerato, incrementando i timori che la crescita dei prezzi sia più ostinata di quanto temuto.
Un'altra preoccupazione è che l'inflazione complessiva potrebbe essere diminuita a causa di una serie di misure una tantum o temporanee, compresi i sussidi governativi, e parte di ciò potrebbe essere invertito a gennaio, quando l'inflazione potrebbe accelerare ancora una volta.
Ma anche se la volatilità dei prezzi è destinata ad essere elevata nei prossimi mesi, l'inflazione ha probabilmente raggiunto il picco e il vero problema è quanto velocemente tornerà verso il target del 2% della Bce.
Il problema è che più a lungo la crescita dei prezzi rimane elevata, più difficile sarà domarla poiché le aziende iniziano ad adattare le proprie politiche di prezzi e salari, perpetuando l'inflazione.
Questo è il motivo per cui lo scorso anno la Bce ha alzato i tassi di un totale di 2,5 punti percentuali - rispecchiando altre banche centrali globali, anche se con un certo ritardo - e ha promesso grandi aumenti sia a febbraio che a marzo in quello che è già il ciclo di inasprimento delle politiche monetarie più aggressivo della storia della banca.
Ma anche così, l'inflazione non tornerà al 2% fino alla seconda metà del 2025, secondo le stesse proiezioni della Bce, che si sono dimostrate eccessivamente ottimistiche negli ultimi due anni, suggerendo che i rischi sono orientati verso un processo disinflazionistico più lento.
Sia i mercati che i sondaggi stanno iniziando a prendere in considerazione la possibilità che l'inflazione rimanga al di sopra del 2%, in parte perché una serie di fattori esterni stanno aggravando i problemi della Bce.
Si supponeva che una recessione invernale avrebbe fatto aumentare la disoccupazione, incidendo profondamente sulle pressioni sui prezzi. Ma la recessione si sta rivelando meno profonda del previsto e l'occupazione, già a livelli record, sta effettivamente aumentando, non diminuendo.
Anche il sostegno fiscale alle famiglie si sta rivelando più generoso di quanto sperato e questa spesa in eccesso va ad incrementare il potere d'acquisto, contrastando le politiche restrittive della Bce.
(Tradotto da Chiara Bontacchio, editing Stefano Bernabei)