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Riforma del Lavoro approvata alla Camera

Anche la Camera ha dato il via libera alla Riforma del Lavoro del ministro Fornero, con 393 sì, 74 no e 46 astenuti per i quattro voti di fiducia imposti oggi dal Governo per arrivare al difficilissimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno con il provvedimento approvato. Problematica appare soprattutto la posizione del PDL, infatti 87 deputati su 209 hanno fatto mancare il loro sostegno al governo: 7 con voto contrario, 34 si sono astenuti e 46 erano assenti (ma di questi, 11 in missione).
Il testo uscito da Montecitorio è praticamente il medesimo che aveva già ricevuto il benestare del Senato, quindi, rispetto a quanto già scritto in occasione dell'approvazione a Palazzo Madama e all'inizio dell'iter a Montecitorio, non c'è molto da aggiungere sul piano dei provvedimenti introdotti dalla Riforma e sulle critiche che continua a suscitare dalle parti sociali (ancora oggi, il segretario della CISL Bonanni ha commentato che non rispetta le aspettative di far aumentare i posti di lavoro) e dell'opposizione (Di Pietro ha definito in aula i ministri "abusivi, truffatori e ricattatori" e ha preannunciato un referendum sulla riforma).
Questa mattina, il ministro Fornero aveva dichiarato alla trasmissione Radio Anch'io di Radio Uno Rai: "Capisco il sacrificio fatto dalla Camera perchè la limitazione della discussione imposta dall'agenda e dalle difficoltà sul fronte europeo, è stata pesante per i parlamentari e in particolare per quelli della Commissione che avrebbero voluto poter dire la loro. Purtroppo non è stato possibile, ma il governo ha detto che è disposto a fare cambiamenti che saranno discussi". Sinceramente, appare un po' contorto che, dopo mesi di discussioni, si faccia approvare una riforma così delicata in tutta fretta e con un totale, ad oggi, di otto voti di fiducia, facendo leva sulla solita retorica dell'emergenza, e poi, per convincere chi deve votarla a rinunciare al proprio legittimo potere di discuterla e chiederne delle modifiche, gli si prometta di modificarla in un secondo momento.
Il ministro Fornero si dice aperta ai cambiamenti, ma pone ovviamente dei paletti (non prima di aver dichiarato, in un'intervista al Wall Street Journal, che "il posto di lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso sacrifici", facendo piazza pulita di decenni di democrazia, lotte operaie, rivendicazioni di diritti e andando a cozzare contro l'articolo 1 della nostra Costituzione, fatto che ha costretto il Ministero a una successiva nota di rettifica in cui si legge che "il ministro ha fatto riferimento alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro"). Questi paletti sono che le modifiche dovranno essere migliorative della riforma stessa. Un parametro per la verità del tutto arbitrario e aleatorio, perché bisognerebbe prima stabilire da quale punto di vista, per chi e per quale reale obiettivo una cosa può essere o non essere un miglioramento.
Le principali richieste dei due maggiori partiti che sostengono il Governo sono comunque note e sono state presentate dai rispettivi relatori, Giuliano Cazzola (PDL) e Cesare Damiano (PD), al ministro. I due punti principali sono la richiesta di un allentamento dei vincoli per la flessibilità in entrata, da parte del Centrodestra, e quella di un'estensione degli ammortizzatori sociali e di un'allargamento della platea degli "esodati", per così dire, riconosciuti dal Governo (cioè quelli che hanno avuto la fortuna di rientrare nei suoi contestati calcoli) e quindi in qualche modo protetti, da parte del Centrosinistra.
Per ora una cosa è comunque certa, la Riforma così com'è scontenta tanto i sindacati (che nella giornata di oggi hanno manifestato in tutta Italia) quanto Confindustria (il cui presidente Squinzi non è certo stato tenero con le misure introdotte, pur riconoscendo l'importanza dell'approvazione in tempi brevi del testo). Secondo il ministro Fornero è la dimostrazione che la riforma è una sintesi tra le diverse esigenze. Ai posteri l'ardua sentenza.