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Italia in prima linea nei salvataggi, ma versa più di quanto incassa

Le osservazioni dell’Unione Europea sui conti italiani hanno riacceso il dibattito sui poteri di interferenza degli organismi comunitari sulla nostra politica nazionale. Fa bene l’Ue a metterci in riga, in modo da evitare nuovi sperperi? E’ giusto che vi siano continue richieste di austerity a fronte del fallimento di questa strategia negli anni passati? E, soprattutto, quanto versa l’Italia per onorare lo spirito comunitario e quanto invece riceve in cambio? Rispondere a queste domande non è facile, senza entrare in analisi politiche, ma qualche numero può aiutare a inquadrare meglio la questione.

Generosità verso i Paesi in difficoltà

A fine 2014 il debito pubblico italiano dovrebbe segnare un nuovo record, attestandosi al 135,2% del Pil, cioè della ricchezza prodotta nell’arco dell’anno. Lo scorso anno il dato si attestava al 133,2%, nel 2012 al 126,9% e nel 2011 al 120,7%. La spiegazione non può essere trovata solo nella recente recessione (che ha fatto calare il denominatore del rapporto), dato che si è trattato di tre anni in cui lo Stato ha stretto la cinghia delle uscite e aumentato la pressione fiscale su famiglie e imprese.

La risposta è nei 44,2 miliardi di euro destinati dal nostro Paese al salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo. Dato che l’Italia è la terza economia dell’area euro, anche l’esborso è proporzionale: più di noi hanno speso solo Francia (50,3 miliardi) e Germania (67 miliardi). L’esborso ha riguardato prestiti, per cui l’Italia è creditrice verso i Paesi in difficoltà della medesima somma (e vi rientrerà, a meno di un default), ma intanto il parametro è peggiorato e anche la percezione degli investitori verso il nostro debito pubblico.

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Poche risorse dall’Ue, ma è colpa nostra

Guardando in assoluto alle somme versate all’Ue in condizioni ordinarie, l’Italia partecipa per il 12% al bilancio comunitario, con una somma che negli ultimi cinque anni si è aggirata tra i 12 e i 16 miliardi annui, a fronte di somme incassate tra i 10 e i 12 miliardi ogni dodici mesi. La dinamica degli accrediti risente anche della capacità progettuale e gestionale dei fondi europei da parte dei singoli Paesi: dal 2007 in avanti, l’Italia ha saputo spendere solo il 52,7% delle somme a sua disposizione, perdendo l’enorme quota restante a causa dell’incapacità di rispettare le tempistiche nella presentazione dei progetti o le specifiche tecniche. Un enorme spreco di denaro che, in seguito a contrattazione, in parte potrà essere recuperato nei prossimi anni, mentre per il resto tornerà come fondo cassa europeo.