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Amazon ha un problema con i lavoratori. L’ennesimo

ROME, ITALY - 2021/09/24: A protester holds a placard depicting an image of Amazon founder Jeff Bezos during the Global Climate Strike.
Students, citizens and activists of the
ROME, ITALY - 2021/09/24: A protester holds a placard depicting an image of Amazon founder Jeff Bezos during the Global Climate Strike. Students, citizens and activists of the

Mark Zuckerberg ha i suoi problemi. Ma anche Jeff Bezos non se la passa benissimo. È vero, il fondatore di Amazon ha lasciato la guida della sua creatura a luglio. E non poteva trovare momento più delicato. Prima lo scandalo dei prodotti invenduti che vengono distrutti ancora nuovi di zecca. Poi le continue denunce, in mezzo mondo, delle condizioni di vita dei magazzinieri Amazon. Ora, una nuova grana: il sistema automatizzato che gestisce ferie, retribuzioni e congedi del gigante dell’e-commerce, non è così automatizzato come dovrebbe. E a rimetterci sono i lavoratori. Lo racconta un’inchiesta del New York Times. Si prendono i permessi per malattia, maternità o infortuni, ma poi scoprono che il sistema non lo ha capito, e in busta paga si ritrovano tagli anche cospicui ad un salario che già non è dei migliori. Altri ancora, vengono licenziati. Anche in questo caso, in maniera automatizzata. Insomma, cambia l’amministratore delegato, ma Amazon resta sempre la stessa.

Dopo 27 anni, infatti, Bezos ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla sua azienda spaziale, Blue Origin, puntando forte sullo sviluppo del turismo spaziale. Ha consegnato Amazon in buone mani, con il fedelissimo Andy Jassy nelle vesti di Ceo. Ma se l’azienda continua a crescere incontrastata – da ultimo lo sviluppo di servizi POS integrati, e l’abile sfruttamento dei Big Data di miliardi di utenti attraverso la nascita di servizi Cloud in partnership con diversi stati europei – restano molte grane da gestire in quello che è da sempre il tallone d’Achille della Big Tech con sede a Seattle. Le condizioni dei suoi lavoratori.

Amazon è diventata troppo grande, dice il Nyt. Conta infatti un milione e 300mila dipendenti. E non riesce più a gestire in maniera efficiente le proprie risorse umane. Ci sono centinaia di ex dipendenti – se non migliaia, neanche ad Amazon lo sanno bene – che sono stati licenziati senza giusta causa, per un banale errore dell’algoritmo, ma che oggi non sono in grado di essere re-integrati perché non riescono a interfacciarsi con un ufficio di risorse umane in carne ed ossa. Tutto sembra essere partito da Tara Jones, una magazziniera di uno stabilimento in Oklahoma, neo-mamma, che un giorno, guardando la sua busta paga, ha scoperto di aver ricevuto 90 dollari in meno rispetto al salario abituale. L’errore si è ripetuto nei mesi successivi, nonostante Jones avesse segnalato il problema ai suoi capi. Alla fine, esasperata, ha scritto una mail direttamente a Bezos: “Sono indietro con le bollette, tutto perché il team dei pagamenti ha fatto casino. Sto piangendo mentre scrivo questa mail”.

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Un gesto disperato, sul quale probabilmente Jones non riponeva chissà che speranze. Ma Bezos, la mail, l’ha letta. Ed è andato fino in fondo alla questione. Dopo un indagine interna, al quartier generale di Seattle, nello stato di Washington, sulla West Coast, si sono accorti che quello di Jones non era una semplice eccezione alla regola. A finire nella trappola di un algoritmo difettoso, sono stati i nuovi genitori; chi ha problemi di salute; e altri lavoratori vulnerabili in congedo temporaneo.

Da Amazon, sono corsi ai ripari. La portavoce Kelly Nantel ha affermato che l’azienda sta procedendo all’identificazione e al rimborso dei lavoratori vittime del problema. Ma il danno ormai è fatto. Anzi, sembra essere più diffuso di quanto si pensava all’inizio. Ad essere colpiti, infatti, ci sono ben 179 magazzini sparsi in tutti gli States. In pratica, il software che registra le presenze nelle sedi Amazon ha segnato assenti ingiustificati i lavoratori che in realtà avevano preso permessi di salute o di maternità. I certificati medici, regolarmente comunicati dai dipendenti, sarebbero andati persi nei database delle risorse umane dell’azienda.

I lavoratori ingiustamente licenziati – o con una busta paga decurtata – hanno tentato di telefonare alle Human Resources del gruppo. Ed è qui che Amazon ha scoperto di essere un gigante dai piedi d’argilla. Anzi, non lo ha neanche scoperto subito, se non ci fosse stata quella mail di Tara Jones diretta al fondatore. Le telefonate sono state deviate in maniera automatizzata a call center localizzati in Costa Rica e in India. Inutile aggiungere che in questi luoghi esotici non avevano alcun accesso ai dati dei lavoratori che chiamavano disperati. Causando settimane, o mesi, di perdita di parte del reddito. Se non del posto di lavoro stesso.

Qualcuno potrebbe dire: Amazon è un gigante globale, una delle più grandi organizzazioni che l’umanità abbia mai conosciuto. Ci sta che al suo interno si verifichino problemi di comunicazione. Non può filare tutto liscio in un’azienda così grande. Il problema è che quando si tratta di far arrivare i pacchi in orario, l’azienda mette in campo tutte le proprie risorse per risolvere eventuali ritardi o altri ostacoli logistici. Amazon ha costruito il suo impero nell’e-commerce grazie ad efficientissime strutture di elaborazione dati e merci, pensate per soddisfare l’appetito degli acquirenti di tutto il globo in tempi brevissimi. Sbaragliando di gran lunga la concorrenza. Ma gli stessi sforzi non sono stati dedicati a risolvere i problemi interni di risorse umane. Anzi, a Seattle, per diverso tempo, hanno addirittura ignorato la loro esistenza. Bezos viaggia nello spazio. Ma i problemi li ha lasciati qui, sulla Terra.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.