Annuncio pubblicitario
Italia markets closed
  • FTSE MIB

    34.657,35
    +318,03 (+0,93%)
     
  • Dow Jones

    39.512,84
    +125,08 (+0,32%)
     
  • Nasdaq

    16.340,87
    -5,40 (-0,03%)
     
  • Nikkei 225

    38.229,11
    +155,13 (+0,41%)
     
  • Petrolio

    78,20
    -1,06 (-1,34%)
     
  • Bitcoin EUR

    56.355,75
    -1.668,56 (-2,88%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.302,78
    -55,23 (-4,07%)
     
  • Oro

    2.366,90
    +26,60 (+1,14%)
     
  • EUR/USD

    1,0772
    -0,0012 (-0,11%)
     
  • S&P 500

    5.222,68
    +8,60 (+0,16%)
     
  • HANG SENG

    18.963,68
    +425,87 (+2,30%)
     
  • Euro Stoxx 50

    5.085,08
    +30,67 (+0,61%)
     
  • EUR/GBP

    0,8601
    -0,0007 (-0,08%)
     
  • EUR/CHF

    0,9760
    -0,0005 (-0,05%)
     
  • EUR/CAD

    1,4718
    -0,0026 (-0,17%)
     

Una Brexit "disastrosa" è il vero interesse della UE

Chi scrive ha sempre sostenuto che la volontà di condurre, da parte dell'Unione Europea, i negoziati con il Regno Unito "nell'interesse comune delle due parti" è sempre stata mera propaganda da parte dei leader europei, fatta per giocare come il gatto (Bruxelles) con il topo (Londra). Dopo lo shock iniziale dovuto alla vittoria del "Leave" al referendum dello scorso giugno sulla Brexit, da parte dei paesi dell'Unione, Germania e Francia in testa, c'è stata la consapevolezza che l'uscita del Regno Unito dalla Comunità Europea potesse rappresentare una grande opportunità per le due principali economie del Vecchio Continente. Per Berlino e Parigi, la possibilità di indebolire gli antichi rivali inglesi è un risultato più raggiungibile oggi con le regole sul libero commercio che non ieri con la guerra.

Che i futuri negoziati sulla Brexit non saranno in realtà dei negoziati ma una vera e propria battaglia tra le parti è ormai altrettanto evidente. Ne è una prova quanto accaduto l'altra sera durante la cena tra il primo ministro britannico Theresa May e il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, nella quale si è discusso delle relazioni future tra stati membri e Regno Unito. Le versioni, stando a quanto si legge sulla stampa, sono discordanti. Juncker avrebbe riferito di essere uscito dalla cena "dieci volte più scettico sugli esiti dei negoziati", mentre il suo entourage considera che la probabilità di un fallimento sia "superiore al 50%". La notizia, guarda caso, è stata riportata da uno dei principali quotidiani tedeschi, la Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, poi ripresa da Financial Times e Guardian e subito smentita seccamente da Theresa May in persona che ha parlato di "pettegolezzi di Bruxelles".

Chi mente dei due? Per capirlo sarebbe sufficiente riprendere le recenti dichiarazioni della cancelliera tedesca, Angela Merkel, la quale ha dichiarato che la Gran Bretagna, con la Brexit, non avrà più gli stessi diritti di un paese membro dell'UE. E questo non perché non lo vuole Londra, ma perché non lo vuole Berlino. "Londra non si faccia illusioni", ha proseguito la cancelliera, chiarendo subito che è l'Europa ad avere il coltello dalla parte del manico.

Giova davvero a Germania e Francia mostrare un volto così duro come quello finora mostrato, nei negoziati? Certamente sì, dal momento che così facendo i due paesi hanno raggiunto già un importante risultato che è poi è il vero obiettivo che entrambi vogliono ottenere: convincere le imprese e le società finanziarie d'oltremanica a spostarsi sul suolo europeo, preferibilmente su quello tedesco o francese. Ecco che allora la frase di Angela Merkel può essere riscritta come "le società del Regno Unito non si facciano illusioni", sul fatto che, se vogliono continuare a fare business con un mercato da quasi 500 milioni di consumatori, devono spostare il loro quartier generale dall'altra parte della Manica. In pratica, i leader dell'Unione stanno facendo un forcing senza precedenti nel tentativo di far capire alle società che sono di fronte ad una scelta: mantenere la propria sede nel Regno Unito perdendo così il mercato europeo, oppure spostarsi. L'arma da usare per raggiungere l'obiettivo è quella della regolamentazione dei servizi e delle regole commerciali. Da questo punto di vista, già sarebbe sufficiente che Bruxelles imponga, tanto per parlare della fornitura dei servizi finanziari, delle norme che impediscano alle imprese di aprire dei semplici "uffici vetrina" negli stati membri per considerarsi presenti sul territorio europeo. Per avere il diritto di passaporto, dovrebbero invece dimostrare di avere una struttura organizzativa adatta ad affrontare un mercato di grandi dimensioni, come un personale sufficientemente numeroso, un management adeguato, una rete commerciale sufficientemente estesa, etc.

ANNUNCIO PUBBLICITARIO

A quel punto, per le società in questione non sarebbe sufficiente spostare qualche membro dello staff per ottenere il passaporto europeo ma il numero dei lavoratori ricollocati dovrebbe essere di una certa rilevanza. Ecco perché società come Lloyds, Deutsche bank (IOB: 0H7D.IL - notizie) , JPMorgan (Londra: JPIU.L - notizie) , City e molte altre potrebbero optare per una ricollocazione radicale della propria sede, anche soltanto per dormire sonni tranquilli e non rischiare di vedersi cambiare spesso la normativa europea (altra strategia possibile da parte di Bruxelles), con conseguente necessità di dover rivedere continuamente la propria struttura societaria. Certamente, ai fini degli esiti della battaglia conterà molto la capacità che avrà Theresa May di convincere le società londinesi dei vantaggi che hanno nel rimanere sul suolo britannico. Sempre con la stessa arma, ovvero quella della regolamentazione (o meglio, della deregolamentazione, in questo caso) e delle minori tasse da pagare.

Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online