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Calasso, Hitchcock e la psicopatologia delle (nostre) città deserte

Hp (Photo: Hp)
Hp (Photo: Hp)

Scrive Roberto Calasso nel suo “Allucinazioni americane” (Adelphi) che nel grande capolavoro di Alfred Hitchcock “Vertigo” tutte le volte che la tensione psicotica e il sovraccarico di psicopatologia si fanno debordante, allora quel genio decide significativamente di mostrarci “una San Francisco senza passanti (o molto pochi), con macchine ridotte al minimo, musei e cimiteri senza visitatori, un albergo con le serrande abbassate o quasi, ovunque erba ben rasata. Tutto nitido, intatto, lustro”.

Invece, quando la tensione sembra (sembra) allentarsi, quando l’atmosfera si fa (momentaneamente) più distesa, comunque un passaggio dolce, un intermezzo tra due situazioni incandescenti allora, inesorabilmente, con una scelta estetica che è anche se vogliamo conoscitiva, “la città riprende la sua vita formicolante, accidentale, i locali tonano a riempirsi, i magazzini lavorano”.

Difficile non trovare corrispondenze e rimandi con la condizione di psicosi pandemica che abbiamo vissuto in uno stato di allucinazione collettiva (per riprendere il titolo del libro di Calasso). Le strade deserte, le serrande abbassate, la vita sociale spenta, il movimento interrotto: una coazione al distanziamento che richiama una condizione psicotica che solo un genio come Hitchcock poteva intuire e prefigurare. La città vuota e spopolata: lo scenario ideale per rappresentare i nostri fantasmi e i nostri incubi. Solo il ritorno alla “vita formicolante” ci potrà guarire.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.