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Cose strane sui mercati

Gli esempi si sprecherebbero, ma poiché non vogliamo abusare della pazienza dei nostri quattro lettori, andiamo subito al punto. Dall’inizio dell’anno, sorniona, la tendenza dei metalli ad uso industriale ha puntato stabilmente verso l’alto. Lo rileviamo abbastanza chiaramente dal Powershares DB Base Metals Fund ETF (DBB), quotato negli Stati Uniti:

A fronte di questo sontuoso rialzo, i metalli ad uso “voluttuario” hanno battuto la fiacca. D’altro canto se ne sono accorti tutti: oro e argento non sono certo stati dei parafulmini a fronte delle tante incertezze che hanno caratterizzato questo eccezionale 2016. D’altro canto perché dovrebbero, ora che gli investitori hanno riscoperto il reddito fisso? (e non solo quello fisso, ma anche crescente).

In effetti, confrontando l’andamento dei metalli industriali, a quello dei metalli preziosi, si ottiene una raffigurazione che non lascia spazio ad interpretazioni:

Nella fattispecie, il denominatore del rapporto qui in alto visualizzato, è rappresentato dall’ETF “DBP” (Powershares DB Precious Metals Fund).

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La pendenza crescente assunta dal rapporto DBB/DBP nella seconda metà dell’anno, e in particolar modo negli ultimi tre mesi, testimonia una chiara preferenza per il rischio: il ciclo economico va migliorando, gli investitori abbandonano gli asset “protettivi” e prediligono le attività direttamente esposte alla congiuntura economica.

Intuitivamente, questo dovrebbe abbinarsi ad una buona performance delle borse emergenti: tipicamente scommesse ad alto beta.

In effetti il MSCI Emerging Markets Index vanta una condizione allettante, ora che ha efficacemente testato la media mobile a 200 settimane: uno spartiacque tecnico che da anni agisce con una certa efficacia.

Ma in termini relativi, si tratta di una scommessa allettante? Richiamate Greenspan, perché qui i conundrum abbondano.

Da sempre il rapporto di forza relativa fra mercati azionari emergenti e borse mondiali (linea rossa, nel grafico in basso) ha vantato una eccellente correlazione con il rapporto fra metalli industriali e metalli preziosi.

Da sempre, fino all’8 novembre. Quando i due dati hanno assunto un andamento specularmente opposto.

Il dollaro crescente ha zavorrato le borse EM, d’accordo. Ma si tratta di una spiegazione parziale, perché il biglietto verde sale, alimentato dai maggiori tassi di interesse proiettati in virtù di una crescita delle aspettative di inflazione.

Peccato che questo dato (in figura: l’inflazione quotidianamente prezzata dai TIPS; linea rossa, scala di sinistra) punti verso il 2%; ancora una volta, risultando divergente rispetto all’andamento dell’EM Index (linea nera, scala di destra), da sempre ad esso ben correlato.

Non si capisce più niente, vero? Se le correlazioni avessero ancora un senso, dovremmo comprare immediatamente le borse emergenti, e dovremmo vendere il rialzo del dollaro, bugiardo come Pinocchio.

Se vendessimo il dollaro, dovremmo comprare oro, puntando ad un ridimensionamento nel rapporto metalli industriali/preziosi, e dunque ad un riallineamento fra questa misura e la forza relativa delle borse emergenti.

Questo, in un mondo razionale. Ma nel mondo di Trumpolandia, chi può dirlo?

Autore: Gaetano Evangelista Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online