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Ddl Zan, la polarizzazione iniziata con Fedez

(Photo: Simona Granati - Corbis via Corbis via Getty Images)
(Photo: Simona Granati - Corbis via Corbis via Getty Images)

Dall’intervento di Fedez durante il Concerto del primo maggio, passando per la presa di posizione della Santa Sede, fino allo scontro mediatico tra Chiara Ferragni e Matteo Renzi, il Ddl Zan ha innescato una serie di polarizzazioni che hanno fortemente influenzato il dibattito pubblico e i rapporti identitari tra partiti politici.

Come mai questo tema ha conquistato una tale attenzione e con quali impatti in termini di consenso politico? Quali fattori hanno giocato maggiormente, a cominciare dal ruolo scatenante giocato da alcuni influencer, che potrebbero fare scuola anche per il futuro? FB Bubbles, divisione di FB&Associati specializzata in analisi del dibattito pubblico e campagne di advocacy, ha preso in esame queste dinamiche intrecciandole con le tappe chiave del percorso di approvazione del Ddl. Tra febbraio e aprile, l’argomento Ddl Zan ha raccolto un volume di conversazioni enorme, con 108 mila menzioni e un milione di interazioni, mentre tra maggio e luglio questi valori sono quintuplicati, con circa 558 mila menzioni e 5.9 milioni di engagement, scatenando anche tante voci più o meno autorevoli da Roberto Saviano a Loredana Bertè, da Efe Bal a Gad Lerner, da Libera a Rocco Siffredi.

Spostando l’attenzione sui lavori parlamentari, il potenziale di “animosità” politica era già in nuce, considerando che il Ddl annunciato ormai tre anni fa, sia stato esaminato in una ventina di sedute sia alla Camera che al Senato, con posizioni politiche identiche tra i due principali fronti contrapposti di Pd e Lega, ma con una singolare produzione di emendamenti, ben 1155 alla Camera e più di 200 audizioni al Senato. Colpisce in particolare l’atteggiamento ambivalente di Italia Viva che alla Camera aveva agevolato l’approvazione del testo, ma non al Senato, probabilmente per ragioni di realpolitik e di pretesto per mettere in difficoltà il Pd. Altrettanto singolare, la posizione del partito guidato da Enrico Letta che si è fatto alfiere dell’approvazione del Ddl Zan come terreno di battaglia identitaria, costringendo le altre forze a reagire in maniera altrettanto identitaria, pur trattandosi di un provvedimento non considerato prioritario da gran parte della popolazione. Nello scontro tra leader politici, in particolare di Partito Democratico e Lega, a cui prendono parte anche tante personalità della cultura, del giornalismo e dello spettacolo e in cui spicca il silenzio di M5s e Forza Italia, il futuro del Ddl Zan resta incerto nel solco di una strategia che ha un solo punto in comune: non tanto ampliare la base elettorale, ma mettere al sicuro quella “storica” già esistente, guardando alle prossime elezioni, Se si tratterà di una tendenza in consolidamento e che può segnare un ritorno alle ideologie è presto dirlo, quel che è certo è che, almeno sulla carta, avere e mantenere una linea chiara non è al momento considerata una strategia vincente.

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L’Analisi, quasi 6 milioni di interazioni in 3 mesi su un tema altamente polarizzante

Prendendo in esame il dibattito tematico online degli ultimi sei mesi, mettendo a confronto le discussioni registrate tra l’insediamento di Mario Draghi (13 febbraio 2021) e fine aprile con quelle avvenute tra il concerto del primo maggio ad oggi, un dato emerge significativamente.

Tra febbraio e aprile l’argomento Ddl Zan ha raccolto 108 mila menzioni e un milione di interazioni, mentre tra maggio e luglio i volumi del dibattito tematico sono quintuplicati, con circa 558 mila menzioni e 5.9 milioni di engagement. Da un punto di vista qualitativo il turning point è stato l’intervento di Fedez durante il concerto del primo maggio – che da solo ha generato un volume di engagement superiore a 2 milioni di interazioni. Se fino a quel momento il coinvolgimento del web aveva mantenuto un tone of voice tendenzialmente moderato e si era limitato ad una partecipazione alla campagna social di sensibilizzazione #diamociunamano (che in soli 5 giorni rispetto al suo lancio il 12 aprile aveva già ricevuto oltre 6 mila menzioni su Twitter), il monologo del rapper ha impresso una svolta alla narrazione. Rivolgersi esplicitamente contro esponenti di partito, criticarne le prese di posizione sugli aspetti oggettivamente più discussi della legge, denunciando altresì un “tentativo di censura” da parte della Tv ospitante, non solo ha infuocato le conversazioni tematiche spaccando in due l’opinione pubblica tra coloro che hanno apprezzato o condannato una così forte presa di posizione, ma ha anche dato un chiaro segnale: su temi sociali come Ddl Zan e diritti civili il dibattito deve tenere conto del punto di vista politico-istituzionale tanto quanto di quello pubblico, in cui le bolle di influenza giocano un ruolo sempre più rilevante.

Con l’attenzione già alta sul tema a seguito di fatti di cronaca che sono stati accostati alla necessità di procedere con l’approvazione del Ddl Zan, l’input che ha fatto nuovamente impennare il trend del dibattito verso la fine di giugno è venuto dalla Santa Sede. Il 21 giugno il Vaticano dichiara che il Ddl ZAN va modificato in quanto suscettibile di violazione del Concordato, generando reazioni non solo da Fedez, vero volto “pop” del sostegno al Ddl Zan, ma anche dal Presidente del Consiglio Mario Draghi che, riportando il tema all’interno delle sedi istituzionali, quali il Senato, riaffermando i “ruoli” del dibattito, ricorda come l’Italia sia “uno Stato laico, non confessionale”. Sotto il punto di vista delle interazioni, la querelle tra Fedez ed il Vaticano ne ha generate quasi 26mila (25.812, per la precisione), mentre quella tra la Santa Sede ed il Premier ha prodotto 55.293 visualizzazioni, complessive, del video su YouTube con le dichiarazioni del Premier. L’autorevolezza con cui il Premier si è espresso nel merito spegnendo ogni possibile polemica sulla questione Stato-Chiesa, è un segnale chiaro della radicale differenza che sussiste tra una risposta istituzionale ad una issue politica e il contributo, tendenzialmente polarizzante, alla discussione tematica che può essere apportato da un influencer.

L’ultimo picco di salienza corrisponde allo scontro sui social tra i Ferragnez e Matteo Renzi. Dopo l’emergere della notizia sulla richiesta di modifica di parti del DDL, con convergenza di azione tra Lega e Italia Viva, l’imprenditrice digitale ha condiviso una Instagram story di denuncia (il cui contenuto è stato ripreso e condiviso online oltre 57 mila volte) sull’eventualità che il Ddl Zan non venga approvato a causa del cambio di posizione di Italia viva. “Che schifo che fate politici” è quanto ha scritto la Ferragni pubblicando una foto di Matteo Renzi il quale ha immediatamente replicato su Facebook (22.560 interazioni, eterogenee, al post) qualificando l’influencer come “banale e qualunquista” e invitandola a un confronto pubblico. Altrettanto rapida è stato l’intervento di Fedez in difesa della moglie con un tweet contro l’ex Premier (24.100 engagement). A fronte di un clima già teso e di un’opinione pubblica sempre più polarizzata, la notizia del confronto telefonico tra i leader di IV e del Carroccio sul testo del DDL è stata la goccia che ha fatto metaforicamente traboccare il vaso. Ora la domanda più comune tra gli utenti è diventata: nell’ostruzionismo di Italia Viva ci sono interessi di partito? Questa domanda ha generato oltre 3mila conversazioni online, per un volume di quasi 155mila interazioni.

Il percorso istituzionale: 1155 emendamenti e 200 audizioni su un “semplice” provvedimento di iniziativa parlamentare

Spostando l’attenzione sul percorso istituzionale del Ddl, emergono ulteriori spunti di analisi. Nella sua versione più recente il Ddl Zan è stato approvato alla Camera il 4 novembre 2020, per poi essere trasmesso in Senato e lì giacere, silente, fino al 28 aprile 2021.

Guardando ai lavori parlamentari, colpisce subito il fatto che il disegno di legge – annunciato il 23 marzo di tre anni fa, durante la prima seduta della Legislatura - sia stato esaminato, nelle due Camere, per un numero pressoché identico di sedute: 21 a Montecitorio e, ad ora, 20 a Palazzo Madama. Anche le posizioni dei partiti sembrerebbero non essere cambiate. Già alla Camera, infatti, la Lega – per bocca dell’On. Pagano – affermava che la proposta di legge avrebbe potuto avere “impatti devastanti sulle libertà personali” (cfr., resoconto del 25 giugno 2020), mentre il Partito Democratico ribatteva che, al contrario, il DDL consentiva di “colmare un vuoto legislativo e di intervenire a favore di alcuni cittadini” – On. Verini (cfr. resoconto del 1° luglio 2020).

Non sembrano essere cambiati neanche i modi di opporsi all’approvazione della legge. Da un lato, sono stati presentati ben 1155 emendamenti alla Camera e, dall’altro, proposte più di 200 audizioni al Senato, il ché è singolare per un provvedimento di iniziativa parlamentare, con un numero limitato di articoli.

Nonostante l’attenzione mediatica sul Ddl Zan sia piuttosto recente, le avvisaglie della crescente animosità del dibattito si potevano, quindi, già rinvenire tra le righe dei resoconti parlamentari. Semplificando, è possibile dire che tra le richieste del centrodestra, allora all’opposizione, spiccava quella di precisare meglio le definizioni del disegno di legge. Ed è proprio su questa richiesta che si raggiunse un primo compromesso: introdurre – con un emendamento a prima firma dell’On. Annibali (IV) - una serie di definizioni puntuali, tra cui anche il concetto di “identità di genere”.

Questo avrebbe dovuto, almeno in teoria, chetare gli animi dei contrari alla legge. Invece, nel corso della II lettura al Senato, complice una nuova e ampia maggioranza, il climax mediatico e la crescente polarizzazione del dibattito, il tema dell’identità di genere è tornato ad essere divisivo. Durante la seduta dell’8 luglio scorso, il Presidente della Commissione Giustizia del Senato Ostellari (Lega) ha proposto di riscrivere l’articolo 1 della legge, eliminando dallo spettro delle tutele proprio quella identità di genere oggetto di modifica alla Camera.

Analizzando attentamente i resoconti parlamentari, colpisce l’atteggiamento di Italia Viva: se alla Camera il partito dell’ex Premier ha agevolato l’approvazione del testo – con l’emendamento a cui si è fatto riferimento – dall’altro, in Senato, sembrerebbe essere pronto ad intervenire proprio su quel punto. Delle due l’una: o siamo di fronte ad un allineamento tra IV e la Lega, anche nell’ottica di future prospettive politiche, come la scelta del Capo dello Stato; oppure, la strategia è pura e semplice Realpolitik: è bene che il provvedimento passi, anche se con modifiche, purché passi, determinando “incassi” in termini di consenso politico su una questione, nonostante lo scontro, decisamente “alta” quali quelle che riguardano i diritti.

Nuove strategie, tra messaggi identitari, ambivalenze e real politik, con tanti VIP in campo

Anche sui social il modus operandi del leader di IV è ambivalente: Renzi, infatti, alterna contenuti in cui il tema Ddl Zan sembra un pretesto per pungolare il Pd, a contenuti in cui, apparentemente, condivide informazioni sull’iter istituzionale del disegno di legge, non perdendo, tuttavia, l’occasione per intervenire su querelle ancora aperte. La ricerca del compromesso - che confermerebbe la seconda delle due ipotesi avanzate - sembrerebbe potersi trarre anche dal fatto che l’ex Rottamatore abbia fatto più volte riferimento alla legge sulle unioni civili che, notoriamente, passò grazie ad un compromesso con le frange della maggioranza più critiche e ad una importante iniziativa del Governo (cfr., Resoconto dell’Aula Senato del 13 luglio).

Nel campo del centrosinistra, emerge con forza la presa di posizione del Pd, che, dopo il cambio di Segreteria, si è fatto alfiere dell’approvazione del Ddl. Dai toni concilianti della discussione alla Camera, il partito di Letta sembrerebbe essersi arroccato sulle proprie posizioni, insistendo per l’approvazione del provvedimento tal quale, correndo il rischio di metterne a repentaglio la stessa esistenza.

Non è la prima volta che, dall’investitura di Enrico Letta a Segretario, il Pd sceglie di portare avanti battaglie fortemente identitarie, costringendo le altre forze politiche a prendere posizione e reagire in maniera altrettanto identitaria. Domandarsi il perché investire così tanto capitale politico sul Ddl Zan ha ancora più senso se si pensa che, dalle rilevazioni di SWG di fine giugno 2021, il provvedimento sembrerebbe non essere considerato prioritario da parte della popolazione.

È quindi possibile che la strategia sia quella di veicolare messaggi e propositi identitari e riconoscibili, non per ampliare la base elettorale, ma per consolidare quella già esistente. In tre parole: call to action. In sostanza, l’obiettivo, nell’ottica delle prossime elezioni, sarebbe quello di mettere al sicuro, quanto più possibile, il proprio elettorato storico. Dal lato del dibattito pubblico, se si guarda al traffico dei dati sui social, questa strategia – si pensi, ad esempio, al successo della campagna #diamociunamano – avrebbe aiutato a stringere attorno ai promotori del DDL Zan numerosi intellettuali, volti dello spettacolo ed influencer che, storicamente, hanno condiviso idee ed iniziative di centrosinistra.

Lo stesso discorso vale, ovviamente, tanto per chi propone quanto per chi reagisce ad una determinata agenda. La dinamica azione-reazione viene confermata anche se si prendono in considerazione i dati social: Il Segretario del PD rientra a pieno nella tipologia “azione”, poiché la sua comunicazione social su Ddl Zan e diritti civili è funzionale a condividere informazioni, posizioni personali e del partito sul disegno di legge e diffondere messaggi in linea con queste ultime. Dall’altro lato, analizzando i post del leader del Carroccio sulle pagine social, si evince come la sua elaborazione di contenuti sulla questione sia di tipo reattivo: nella maggior parte dei casi si tratta di risposte ad input esterni, come la richiesta di un confronto politico, prese di posizione di stakeholder istituzionali e figure del mondo dello spettacolo.

Un futuro incerto per il Ddl così come i numeri in Senato

Per come si è sviluppato, il tenore fortemente polarizzato del dibattito sembra aver lasciato in disparte alcuni partiti che, come M5S e FI, non hanno manifestato posizioni nette, tanto nell’Emiciclo quanto sui social. Lungi dal voler sancire il definitivo ritorno delle ideologie e dell’asse destra-sinistra così come li abbiamo conosciuti in passato, è possibile dire che avere una linea chiara, popolare o impopolare che sia, è un utile strumento di aggregazione del consenso.

Se questa strategia pagherà o rimarrà solo uno strumento di dialogo tra un partito ed il proprio elettorato storico, per così dire: agli elettori l’ardua sentenza.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.