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Ma tu che lavoro fai? Il libro che racconta il mondo dei libri

Una serie di interviste a cura di Luana Lupo e Stefano Nicosia per far capire cosa fanno davvero gli editori

"Ma tu che lavoro fai?"

Il titolo potrebbe indurre in errore e far pensare che anche questo sia un altro dei tanti manuali in cui si parla di nuove professioni, magari connesse a web e mondo digitale. E invece Ma tu che lavoro fai? di Edizioni di passaggio rispolvera un mestiere antico quanto, in fondo, sconosciuto: quello dell’editore.

E già perché se da Aldo Manuzio in poi tutti abbiamo una certa familiarità con caratteri a stampa e contenuti annessi (leggi: libri), cosa faccia un editore nel concreto non è che si capisca molto. E per concreto intendiamo proprio le azioni concrete ossia la parte del lavoro che compete all’editore.

Ma cosa fa l’editore? Stampa forse un libro? “No, quello lo fa il tipografo”. Lo scrive? “Neanche, sappiamo che quello è compito dello scrittore”. Insomma, a fare chiarezza, ci hanno pensato Luana Lupo e Stefano Nicosia, che si occupano di editoria e letteratura, autori di questo saggio fatto di interviste a editori indipendenti.

La prima domanda che viene in mente è: come è nata l’idea di un libro del genere?
Stefano Nicosia: “Il progetto è partito dal desiderio di raccontare il mondo dell’editoria indipendente
attraverso le voci dei protagonisti. Non ci andava di fare una compilazione da manuale o dizionario dei mestieri editoriali, anche perché non ne avremmo avuto l’esperienza: incontrare chi ogni giorno lavora con la cultura editoriale ci è sembrato, invece, un modo per capirci qualcosa e contemporaneamente fare avvicinare il grande pubblico a un mondo spesso parzialmente ignorato, e un modo anche per metterli di fronte a questioni importanti per la società”.

Proprio in merito alla società e in particolare guardando a quella italiana, il libro parte da una domanda cui cercano di rispondere tanti editori: a che punto siamo con l’editoria nel Belpaese?

Stefano: “Quante pagine ha a disposizione? A parte lo scherzo, la questione è che è un settore in crisi, non si fa che ripeterlo, in cui gli oligopoli schiacciano case editrici e librerie indipendenti, in cui si produce troppo e spesso male; ma soprattutto tutto questo avviene in un Paese che non legge, che non prende la cultura in seria considerazione (anche economicamente). Da una parte è lo Stato che deve impegnarsi; dall’altra noi consumatori dobbiamo diventare più critici, consapevoli. L’editoria non esiste da sola, va pensata insieme al sistema, alla scuola, alle biblioteche pubbliche, a un incoraggiamento della lettura. Il punto in cui siamo è che un settore tanto importante – culturalmente ed economicamente – langue, e bisogna tutti fare qualcosa”.

A cominciare forse dal far conoscere questo mestiere, sicuramente avete pensato voi. Ma perché se il prodotto del loro lavoro, il libro, è ben tangibile, quello dell’editore è invece un mestiere così poco noto nella realtà delle cose?
Luana Lupo: “È proprio così, alla concretezza del libro, del prodotto culturale che può essere sfogliato, comprato, letto, sottolineato, regalato..., non corrisponde la stessa tangibilità del lavoro che vi sta dietro. Anzi, quello dell'editore è un lavoro che spesso non viene capito, percepito. E, davvero, a chiunque lavori in campo editoriale, l'editore, il redattore, l'ufficio stampa, il traduttore..., vengono rivolte queste domande: ‘Ma che fate in una casa editrice? Stampate i libri? Vendete libri? Scrivete libri?’. Le risposte non sono mai semplici, perché se lavori con la cultura sai di essere, come ci ha raccontato lo scrittore Giorgio Vasta, quasi un fantasma. Proprio per questo abbiamo sentito l'esigenza di partire da una domanda semplice e spiazzante allo stesso tempo: ‘Ma tu che lavoro fai?’ Per cercare di dare un po' di concretezza ai mestieri culturali attraverso le storie dei protagonisti”.

Perché avete scelto case editrici indipendenti? In fondo, se il vostro intento (dichiarato) è quello di fare luce sui mestieri, non è riduttivo rivolgersi solo a loro?
Luana: “Lo abbiamo dichiarato fin dalle primissime righe e ci siamo presi questa responsabilità.
Abbiamo operato delle scelte dettate da quelle che abbiamo definito scelte istintive, perché se l'intento era quello di raccontare il mestiere editoriale non potevamo farlo se non partendo proprio dagli editori che ci piacciono e con i quali condividiamo valori, progetti e visioni, e dai libri che amiamo. Perché per veicolare un certo tipo di idea, per raccontare ai lettori come lavora un editore, secondo noi è giusto far parlare chi quel lavoro lo fa ogni giorno, con cura e responsabilità. Di certo, tanti altri potevano essere inclusi, non miriamo però a descrivere conesaustività la situazione editoriale italiana. Abbiamo semplicemente scelto gli indipendenti perché è questa l'editoria in cui crediamo. E se nel libro dichiariamo di aver fatto una sola eccezione raccontando la storia dell'editore romano Orecchio acerbo, in realtà non è più così: entrato a far parte del gruppo Fandango nell'aprile del 2011 è uscito dal gruppo qualche settimana fa; proprio perché per un piccolo editore indipendente rispondere a delle logiche di gruppo significa di fatto cambiare e alterare il progetto culturale su cui si regge il catalogo, fatto sì di libri tangibili ma, soprattutto, di idee".

Ci sono degli aneddoti che potete raccontare riguardo agli editori intervistati?
S. e L.: “Più che aneddoti ci teniamo a ricordare il dietro le quinte di questo libro. Dall'idea iniziale, alla selezione degli editori e delle storie da raccontare, i primi contatti, le prime telefonate; poi le interviste dal vivo alla fiera Più libri più liberi 2012 a Roma, tra le centinaia di stand (con Chiara Tarolo di Marcos y Marcos, accovacciati su gradini nascosti dell’immenso Palazzo dei Congressi; con Paolo Canton di Topipittori, seduti in poltrona nell’area ristoro dedicata agli espositori; con Ceccato nel suo meraviglioso stand in mezzo ai suoi WATT, e così via); il tempo rubato a Isabella Ferretti di 66thand2nd nel corso di un’affollata presentazione in una libreria romana del centro. E ancora: le visite nelle sedi di alcune case editrici (dal primo scambio di battute, fatto con gli amici palermitani della :duepunti e di Navarra; poi il vero e proprio viaggio fino a Ponte Milvio e il tour nella sede romana di minimum fax con l’editore Marco
Cassini come cicerone, con annessa merenda; o la visita alla nuova sede di Voland, ancora in fase di post-trasloco, tra scatole e scatoloni, etc.). Tanti incontri, tante storie, che a distanza di un anno è stato bello rivivere, sempre alla fiera Più libri più liberi, questa volta portando agli editori e alle persone coinvolte il libro, il risultato tangibile di questo lavoro, accompagnato da una cartolina su cui scrivere la risposta alla fatidica domanda Ma tu che lavoro fai? A questo interrogativo abbiamo anche dedicato una pagina Facebook, perché questo progetto possa diventare qualcosa di più di un libro, un luogo di confronto per chi lavora con la cultura e con i libri”.

Qual è secondo voi il futuro dell'editoria?
S.: “Questo dipende da che tipo di editoria, e di Paese, si vorrà in futuro. Se si vorrà un settore di lavoratori precarizzati, di gusti standardizzati, se si vorrà affidare al mercato l’unica e ultima parola. Crediamo che quanto più articolato sarà l’approccio ai problemi complessi che la cultura pone oggi, tanto più sarà possibile trovare soluzioni salutari per tutto il sistema. La semplicità, la normalizzazione, in nome delle quali il lettore non sa neppure bene cosa c’è sul mercato e come funziona il meccanismo che gli fornisce un libro, nocciono già all’editoria e alla cultura”.