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Non solo Mps, uno sguardo va dato anche a Unicredit

Gli occhi della comunità finanziaria sono puntati su Mps (BSE: MPSLTD.BO - notizie) nel giorno in cui la banca più antica del mondo vede la riunione la riunione dell'assemblea straordinaria per l'approvazione del piano di salvataggio.

L'attesa su Mps

Scansato il pericolo di un quorum fortunatamente raggiunto, si attende l'esito su un salvataggio da 5 miliardi che ha fatto, sta facendo e farà parlare di sé. Ma quello che invece, invece, necessiterebbe di una ricapitalizzazione doppia, se non addirittura tripla, rispetto a quella di Mps. Le cifre, così come confermate dalla stessa Unicredit (EUREX: DE000A163206.EX - notizie) , parlano di una richiesta di 13 miliardi di euro, per una banca che ne capitalizza una decina. Il tutto mentre si affaccia all'orizzonte l'opzione della conversione volontaria dei bond subordinati, proprio come Mps. Facendo qualche rapido calcolo, c'è chi parla di un totale di 18 miliardi. Senza dimenticare che Unicredit ha già fatto altri aumenti sia nel 2010 che nel 2012.

La situazione di Unicredit

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Intorno alle 13 il titolo vanta un rialzo dello 0,7% sulla scia di rumors che vogliono l'acquisto del pacchetto da 20 miliardi di crediti deteriorati. Nello specifico si tratterebbe di 3 pretendenti, Fortress, Pimco e Cerberus interessati all'offerta il cui esito verrà comunicato il 13 dicembre, lo stesso giorno in cui verà presentato il piano industriale. Sempre più decisiva in questa partita a scacchi che sta prendendo la forma di un mosaico, la presenza di Generali (EUREX: 566030.EX - notizie) , a sua volta interessata all'acquisto di alcuni asset il cui ricavato servirà per ammortizzare le richieste di ricapitalizzazione. Tra questi, però, non compare più il nome di FinecoBank (MDD: FBK.MDD - notizie) , cassata dalla lista della spesa per una questione tecnica: Unicredit chiede una contropartita in contanti (3 miliardi di euro) Generali è disposta solo ad operazioni su carta. Tra i nomi in vendita per Unicredit resta ancora Bank Pekao: in fase di cessione sarebbe infatti una quota del 40% oltre al 10% già messo sul mercato a luglio. In questo caso la vendita permetterebbe all'istituto di Piazza Gae Aulenti di incassare una buona fetta da che va dai 2,5 ai 3 miliardi di euro. Più appetibile, invece, il dossier Pioneer che registra a suo favore una decina di manifestazioni di interess, compresa la presenza tra i pretendenti, di Poste Italiane (Dusseldorf: 29884131.DU - notizie) , un'opzione caldeggiata dall'esecutivo perché permetterebbe il rafforzamento in patria di una risorsa nazionale che eviterebbe così di passare i confini nazionali giungendo in Francia da Amundi (Berlino: 350155.BE - notizie) , altro interessato all'acquisto.

Il caso del salvataggio di Popolare di Vicenza

Il recente passato può dare una spiegazione per un aggravamento così repentino della situazione. Solo sei mesi fa la richiesta ai mercati sarebbe stata la metà dell'attuale. Cosa è successo nel frattempo? Impossibile non ricordare, oltre alle tempeste di mercato, anche la questione della ricapitalizzazione della Popolare di Vicenza, al cui capezzale era inspiegabilmente accorsa proprio Unicredit offrendosi di farsi carico di quelle azioni che il mercato avrebbe rifiutato e che sarebbero state presumibilmente tante visto che tutto questo avveniva proprio nel momento in cui la tempesta sui bancari era in corso e la fiducia sul settore era minima, anche con l'incombente incertezza del referendum inglese ancora di là da venire. E come in una sorta di contrappasso dantesco è proprio un altro referendum, questa volta in Itlaia, a gettare ancora più scompiglio tra gli investitori. Infatti le consultazioni elettorali del 4 dicembre quando gli italiai saranno chiamati a decidere se accettare o meno la riforma costituzionale proposta dal governo del Premier Matteo Renzi, potrebbero essere la miccia che scatenerà la tempesta sui mercati. A prescndere dalla effettiva durata di tale tempesta e soprattutto dalla reale portata a livello normativo (in realtà il voto, viste le possibili dimissioni di Renzi, sta diventando un voto di sfiducia al governo e non di reale volontà riformista) quello di cui gli investitori hanno paura è il rallentamento del processo di riforma che la nazione parrebbe aver imboccato e che arriverebbe ocn il cambio della guardia o anche con l'arrivo di un governo tecnico in attesa di nuove elezioni. Non solo, ma gli importi di cui il sistema bancario necessita, sono estremamente alti persino per un mercato in una fase relarivamente alta, quasi proibitivi in un momento di incertezza. E l'incertezza, si sa, è la prima nemica dei mercati.

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