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Non siamo resilienti, perché non sappiamo cosa voglia dire

Il celebre bacio di Times Square (Photo: ANSA)
Il celebre bacio di Times Square (Photo: ANSA)

L’uso delle parole spiega chi siamo. L’uso fantasioso che abbiamo fatto della parola “resilienza”, come per darci un sussiego davanti al disarmo, spiega che non siamo resilienti. Là dove vi è un grave errore di vocabolario vi è un grave errore di pensiero, scrisse Simone Weil, la cui lettura oggi è particolarmente balsamica. Difficile trovare nella quotidianità una dimostrazione più precisa del filosofare: resilienza non è un sinonimo forbito di resistenza, non è una resistenza un po’ più figa, è la capacità psicologica di reagire di fronte a difficoltà o a traumi (cito dal vocabolario Treccani). Ed è una capacità di cui non credo siamo dotati. Da venti mesi viviamo il virus con tentativi di assertività che il virus non prevede, il virus non è assertivo, è subdolo, fa della sua indefinitezza, della sua inafferrabilità e della sua imprevedibilità la sua forza. Dovremmo averlo capito da tempo e invece andiamo avanti con contrapposte, disperate certezze: da un lato c’è chi pretende di tornare alla normalità nonostante il virus, e dall’altro chi si illude che la normalità stia tornando davanti al virus che si scansa. Poi basta la minaccia di una variante omicron, sorta un giorno con il sole al mattino, ancora più indefinita, inafferrabile e imprevedibile, e sulle nostre labbra e sui nostri polpastrelli torna la parola con cui si demolisce ogni idea di resilienza: incubo.

Il covid ha inchiodato e inchioda ora dopo ora la modernità – con le sue ridicole presunzioni algoritmiche – alla vanità della torre di Babele che ci siamo costruiti. Alla nietzschiana morte di Dio abbiamo divinizzato l’uomo e davvero non la sto mettendo giù dura, ma questa pretesa di ricondurre e circoscrivere tutto all’uomo, alla sua onnipotenza nel bene e nel male, mi pare un cataclisma da cui sarà difficile riemergere: fa molto ridere il complottismo estremo, secondo cui il virus è il prodotto del diabolico patto fra massoni, ebrei, banchieri, scienziati pazzi e altre figure fumettistiche – fa ridere perché la trama prevede lo sterminio di gran parte della popolazione con l’artificio del virus e poi prevede il controllo di gran parte della popolazione con la menzogna del vaccino, e il piano comincerebbe a complicarsi troppo anche per una serie tv per tredicenni – ma fa ridere anche il complottismo moderato. Ho letto stamattina un’analisi secondo la quale la vaccinazione dei bambini è la supercazzola per nascondere il fallimento della pianificazione della terza dose: dietro ogni evento c’è sempre, nascosto nelle tenebre, un mefistofelico col bavero alzato e gli occhiali scuri.

Ma contrapposta c’è questa fiducia messianica nella scienza che cammina sulle gambe del fato per cui la soluzione sta sempre per spuntare dal cilindro, e al primo calo di curva ci si smascherina, ci si assembra come fra eletti della razionalità – “tanto siamo tutti vaccinati, no?” – in uno stupefatto e giocoso day after. Omicron, lettera dell’alfabeto greco che indica il piccolo, al contrario dell’omega che indica il grande: è l’infinitamente piccolo che si prende gioco di chi si reputa infinitamente grande, lo irride, lo ricaccia all’angolo. E siamo sempre noi a scoprirci le spalle, a giocare una partita diversa, non sintonizzata sui tempi e sui modi del virus. Ho accolto con enorme sollievo la vaccinazione – “siamo tutti vaccinati, no?” – e attendo il mio turno per la terza dose non dico contando i giorni, ma quasi, ma non ho mai pensato che fosse un bacio a Times Square, la fine della guerra, l’ho vissuta come un buon rifugio durante il bombardamento. Vaccinarsi è come smettere di fumare, riduce il rischio del cancro, ma non elimina il nemico.

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Resilienza è sapere che avanziamo a tentoni nel buio, e va fatto con fiducia e cautela. Tocca seguire la scienza perché non abbiamo di meglio, seguirla per mancanza di alternative sapendo che fra qualche secolo qualcuno leggerà di noi e riderà di noi come noi oggi ridiamo di sanguisughe e salassi, seguirla nonostante le contraddizioni che altro non sono se non le ovvie, struggenti conseguenze di esseri umani che si reputano omega e sono in balia di omicron, qualsiasi cosa sia e sarà la variante omicron. Resilienza è sapere che siamo dentro un casino infinito, di cui non sappiamo niente, tantomeno quando finirà.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.